COLLEGIO DOCENTI

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    .....SE QUALCUNO ESERCITA UN POTERE CHE NON GLI COMPETE SIGNIFICA CHE QUALCUN ALTRO NON HA ESERCITATO UN POTERE CHE GLI COMPETEVA......




    LE ATTRIBUZIONI DEL COLLEGIO DOCENTI



    IL COLLEGIO DOCENTI:

    Competenze ed organizzazione
    del Collegio dei docenti .

    di Enzo Gallo,
    responsabile dipartimento giuridico-legale della Gilda degli insegnanti di Napoli.


    In attesa di un provvedimento di riforma sempre annunciato e mai varato
    gli organi collegiali interni ad ogni singola istituzione scolastica
    restano ancora disciplinati dal Titolo I della Parte I del Testo Unico
    in materia di istruzione (D.Lgs. 16.4.1994) così come integrato e
    modificato da successivi provvedimenti normativi.

    L’introduzione dell’autonomia scolastica ha tuttavia inciso non poco sui compiti di
    tali organi, tenuti ad garantirne l’efficacia “nel quadro delle norme
    che ne definiscono competenze e composizione”(art. 16 comma 1 del
    regolamento dell’autonomia approvato con D.P.R. 8.3.1999 n. 275).
    Peraltro la stessa disposizione normativa recita che Il dirigente
    scolastico esercita le funzioni di cui al decreto legislativo 6 marzo
    1998, n. 59, nel rispetto delle competenze degli organi
    collegiali.(comma 2).

    Nella pratica tuttavia non mancano problemi
    interpretativi e fattispecie complesse, non facili da risolvere,
    essendo oggettivamente difficile distinguere, in talune situazioni, le
    attività di gestione e di organizzazione, proprie del dirigente
    scolastico, da quelle di contenuto educativo-didattico, di pertinenza
    degli organi collegiali e particolarmente del collegio dei docenti.

    Il collegio dei docenti, tra gli organi collegiali della scuola, è quello
    che ha la responsabilità dell’impostazione didattico-educativa, in
    rapporto alle particolari esigenze dell’istituzione scolastica e in
    armonia con le decisioni del consiglio di circolo o di istituto. Esso
    mantiene competenza esclusiva per quanto attiene agli aspetti
    pedagogico-formativi e all’organizzazione didattica e, concorre,
    comunque, con autonome deliberazione alle attività di progettazione a
    livello d’istituto e di programmazione educativa e didattica, mentre il
    consiglio di circolo o di istituto ha prevalenti competenze
    economico-gestionali (vedi ad es. l’approvazione del bilancio preventivo
    e del conto consuntivo e l’elaborazione dei criteri per l’impiego dei
    mezzi finanziari e per l’organizzazione generale del servizio
    scolastico).

    Le competenze del collegio dei docenti, fino alla
    riforma degli organi collegiali, risultano da una combinata lettura
    dell’art. 7 del T.U. 297/’74, di successivi provvedimenti normativi e
    delle disposizioni del CCNL. Nel rispetto della libertà d’insegnamento
    costituzionalmente garantita a ciascun docente, il collegio ha potere
    deliberante in ordine alla didattica e particolarmente su:

    a) l’elaborazione del Piano dell’offerta formativa (art. 3 del D.P.R. 08.03.1999, n. 275);

    b) l’adeguamento dei programmi d’insegnamento alle particolari esigenze
    del territorio e del coordinamento disciplinare (art. 7 comma 2 lett. a)
    T.U.);


    c) l’adozione delle iniziative per il sostegno di alunni
    handicappati e di figli di lavoratori stranieri(art. 7 comma 2 lett. m e
    n T.U.) e delle innovazioni sperimentali di autonomia relative agli
    aspetti didattici dell’organizzazione scolastica(art. 2, comma 1 DM
    29.05.1999 n. 251, come modificato dal DM. 19.07.1999 n. 178);

    d) la redazione del piano annuale delle attività di aggiornamento e formazione (art. 13 del CCNI 31.08.1999);

    e) la suddivisione dell’anno scolastico in trimestri o quadrimestri, ai
    fini della valutazione degli alunni (art. 7 comma 2 lett. c T.U., art. 2
    OM 134/2000);


    f) l’adozione dei libri di testo, su proposta dei
    consigli di interclasse o di classe, e la scelta dei sussidi didattici
    (art. 7 comma 2 lett. e T.U.);

    g) l’approvazione, quanto agli aspetti didattici, degli accordi con reti di scuole (art. 7 comma 2 D.P.R. 08.03.1999 n. 275);

    h) la valutazione periodica dell’andamento complessivo dell’azione didattica (art. 7 comma 2 lett. d T.U.);

    i) lo studio delle soluzioni dei casi di scarso profitto o di irregolare
    comportamento degli alunni, su iniziativa dei docenti della rispettiva
    classe e sentiti, eventualmente, gli esperti (art. 7 comma 2 lett. o
    T.U.);


    j) la valutazione dello stato di attuazione dei progetti
    per le scuole situate nelle zone a rischio (art. 4 comma 12 CCNI
    31.08.1999);


    k) l’identificazione e attribuzione di funzioni
    strumentali al P.O.F. (art. 28 del CCNL 26.05.1999 e art. 37 del CCNI
    31.08.1999), con la definizione dei criteri d’accesso, della durata,
    delle competenze richieste, dei parametri e delle cadenze temporali per
    la valutazione dei risultati attesi;


    l) la delibera, nel quadro
    delle compatibilità con il P.O.F. e delle disponibilità finanziarie,
    sulle attività aggiuntive di insegnamento e sulle attività funzionali
    all’insegnamento (art. 25 CCNL).





    Formula inoltre proposte e/o pareri:



    a) sui criteri per la formazione delle classi, l’assegnazione dei docenti e
    sull’orario delle lezioni (art. 7 comma 2 lett. b T.U.);


    b) su iniziative per l’educazione alla salute e contro le tossicodipendenze (art. 7 comma 2 lett. q T.U.);

    c) sulla sospensione dal servizio di docenti quando ricorrano particolari motivi di urgenza (art. 7 comma 2 lett. p T.U.).



    Il collegio elegge infine nel suo seno i docenti che fanno parte del
    comitato di valutazione del servizio del personale docente e, come corpo
    elettorale, i suoi rappresentanti nel consiglio di circolo o di
    istituto.

    Essendo state sottratte al collegio dei docenti le
    competenze "gestionali" in senso stretto, non compete più ad esso la
    scelta dei collaboratori intesi come staff della dirigenza scolastica
    per specifici compiti di gestione e di organizzazione (cm 30.8.2000 n.
    205). La nomina di collaboratori è quindi una prerogativa del dirigente
    scolastico, mentre al collegio compete la nomina dei responsabili delle
    funzioni strumentali e, eventualmente, di altre figure che operino solo
    sul versante educativo e didattico e non su quello della gestione.

    Il collegio dei docenti è composto da tutti i docenti in servizio nel
    circolo o nell’istituto ed è presieduto dal dirigente scolastico; ne
    fanno parte anche i supplenti temporanei, limitatamente alla durata
    della supplenza, nonché i docenti di sostegno che assumono la
    contitolarità delle sezioni o delle classi in cui operano.

    Nel caso di aggregazioni di più scuole secondarie superiori di diverso
    ordine e tipo, di sezioni staccate e di sedi coordinate, nonché dei c.d.
    istituti comprensivi (o verticalizzati) derivanti dall’aggregazione di
    scuole di diverso ordine e tipo in un’unica scuola, viene costituito un
    unico collegio articolato in tante sezioni quante sono le scuole
    presenti nella nuova istituzione (T.U. art. 7 comma 1 coordinato con
    artt. 6 e 7 del D.P.R. 2 marzo 1998 n. 157). Per alcune questioni esso
    sarà riunito nella totalità delle sue sezioni, mentre per altre,
    riferite alla singola scuola, il dirigente scolastico riunirà
    separatamente le diverse sezioni.

    Il nuovo CCNL all’art. 29 comma
    3 precisa che le attività di carattere collegiale dei docenti sono di
    due tipi, una di pertinenza propria del collegio dei docenti (riunioni
    del collegio, ivi compresa l’attività di programmazione e verifica di
    inizio e fine anno e l’informazione alle famiglie sui risultati degli
    scrutini trimestrali, quadrimestrali e finali e sull’andamento alle
    attività educative nelle scuole dell’infanzia e nelle istituzioni
    educative), l’altra attinenti ai lavori dei consigli di classe. Per
    entrambe le tipologie è previsto un impegno fino ad un massimo di 40 ore
    annue

    Il collegio si riunisce ogni volta che il dirigente
    scolastico lo ritenga necessario o quando un terzo dei componenti ne
    faccia richiesta, e comunque, almeno una volta per ogni trimestre o
    quadrimestre. Le riunioni del Collegio hanno luogo in ore non
    coincidenti con l’orario di lezione. Le funzioni di segretario del
    collegio sono attribuite dal capo d’istituto ad uno dei collaboratori.
    Riguardo le deliberazioni le disposizioni da prendere a riferimento sono
    rinvenibili nell’art.37 del T.U. che prevede al comma 2 un quorum
    costitutivo (o strutturale) : per la valida costituzione in adunanza è
    richiesta la presenza di almeno la metà più uno dei componenti in carica
    e comma 3 un quorum deliberativo (o funzionale): affinché il collegio,
    validamente costituitosi in adunanza, possa poi positivamente adottare
    una deliberazione, è necessario che quest’ultima ottenga la maggioranza
    assoluta dei voti validamente espressi. In caso di parità, prevale il
    voto del presidente.

    In mancanza di regole normative esplicite,
    l’indirizzo interpretativo prevalente (sia in dottrina, sia in
    giurisprudenza) ritiene che gli astenuti incidono sul calcolo del quorum
    strutturale contribuendo a formare il numero dei partecipanti
    all’adunanza ma non sul computo del quorum funzionale, esattamente come
    accade nel caso in cui vi siano voti nulli.

    Di conseguenza,una delibera è da considerare approvata quando riporta voti a favore pari
    alla metà più uno del totale di coloro che hanno concretamente e
    validamente espresso il voto (positivo o negativo), esclusi gli
    astenuti.

    L’allontanamento di persone durante le votazioni non ha
    incidenza sul quorum funzionale. Colui che partecipa all’adunanza e poi
    si assenta al momento della votazione, per ciò stesso non esprime un
    voto valido (positivo o negativo) di cui si possa tener conto. Riguardo
    il quorum strutturale la constatazione della validità della seduta ad
    inizio seduta fa presumere la presenza del numero legale, salvo verifica
    contraria prima però della votazione.


    La verbalizzazione



    Lamanifestazione di volontà dell’organo collegiale deve essere
    documentata mediante la redazione del processo verbale della seduta. La
    redazione del processo verbale può essere legittimamente fatta sulla
    scorta di appunti che siano stati trascritti durante lo svolgimento
    della seduta e, perciò, successivamente alla seduta stessa. La lettura e
    l’approvazione del verbale della seduta, infatti, costituiscono
    adempimenti che possono essere assolti non necessariamente nel corso
    della stessa adunanza, ma anche nell’adunanza successiva (Cons. Stato –
    Sez. VI – 9 gennaio 1997, n. 1).

    Pertanto, le correzioni del verbale portato all’approvazione dei componenti nella seduta successiva,
    vanno inserite nel verbale della seduta di approvazione del verbale
    medesimo, che, conseguentemente, andrà corretto secondo le indicazioni
    di coloro che non hanno riconosciuto corretta la verbalizzazione.

    Il verbale è l’unico mezzo attraverso il quale la deliberazione collegiale
    può essere conosciuta all’esterno e attraverso il quale ne può essere
    provata l’esistenza. Esso, in particolare, non potrebbe essere
    sostituito da dichiarazioni postume rese dai componenti del collegio.

    I verbali vanno trascritti da chi svolge le funzioni di segretario
    dell’organo collegiale su appositi registri a pagine numerate (C.M. 177
    del 4.8.1975 prot. 2571). Il verbale redatto e firmato dal solo
    segretario e non anche dal presidente, è pienamente valido (Cons. Stato –
    Sez. IV dec. 323 del 22.5.1968) e fa prova fino a querela di falso
    (Cons. Stato – Sez. IV dec. 454 del 6.7.1982), da sollevare di fronte
    all’autorità giudiziaria ordinaria (Cons. Stato – Sez. IV dec. 600 del
    27.10.1965).

    Nel procedere alla verbalizzazione della seduta di
    un organo collegiale non è necessario che siano indicate e trascritte
    minuziosamente le opinioni espresse dai singoli soggetti intervenuti
    nella discussione, ma è sufficiente che siano riportate, anche in
    maniera stringata e sintetica, tutte le attività ed operazioni compiute.
    (Cons. Stato - Sez. IV- 25 luglio 2001, n. 4074). Ogni singolo membro
    dell’organo collegiale può tuttavia richiedere che sue dichiarazioni
    siano riportate a verbale. Tale facoltà serve non solo a far sì che la
    verbalizzazione sia completa, ma altresì a tutelare il membro
    dissenziente da rischi di responsabilità civile e penale derivanti da
    delibere illegittime.

    Per prevenire contestazioni, il collegio
    può, con proprio regolamento o con delibera ad hoc, servirsi di un
    registratore (nota MPI Ufficio Decreti Delegati 1430/82) e in presenza
    di delibere particolarmente importanti ricorrere alla verbalizzazione
    immediata.

    In presenza di un interesse qualificato, è possibile
    richiedere la copia del verbale avanzando alla scuola una richiesta di
    accesso all'atto ai sensi della Legge 7 agosto 1990 n. 241, con il
    pagamento di € 0,26 per una o due fotocopie o di € 0,52 per tre o
    quattro fotocopie e così via. La commissione per l'accesso costituita
    presso la presidenza del Consiglio dei Ministri, con parere del 31
    dicembre 1995, ha stabilito che “non si giustifica la sottrazione
    all'accesso per ragioni di riservatezza di tutti i verbali delle sedute
    di organi collegiali, in quanto trattasi di documenti che non contengono
    necessariamente notizie rientranti tra quelle per le quali l'articolo
    8, comma 5 del D.P.R. 352/1992 tutela la riservatezza”.

    Per prevenire contestazioni e abusi, è bene richiedere l’uso di un
    registratore (è facoltà dell’organo decidere in tal senso, secondo nota
    MPI Ufficio Decreti Delegati 1430/82) e, in presenza di delibere
    particolarmente importanti, esigere la verbalizzazione immediata.

    Va detto,infine, che, per costante giurisprudenza, i vizi della
    verbalizzazione non necessariamente comportano vizi dell’atto
    dell’organo collegiale (Cons. Stato, sez. VI, 13.02.1998, n. 166), e che
    la verbalizzazione integrale delle sedute non è necessaria purché
    risultino elementi che consentano di ritenere conforme a legge l’ iter
    seguito.



    Riflessioni e spunti per un regolamento del collegio dei docenti

    Rivendicare la propria professionalità e assumersi un ruolo da protagonisti
    all'interno delle istituzioni scolastiche significa anche impegnarsi
    attivamente affinché il collegio dei docenti non sia di fatto esautorato
    delle sue funzioni e ridotto ad un ruolo di mera ratifica notarile di
    decisioni prese altrove.

    Agire in conseguenza a tali premesse
    potrà forse essere causa di maggior dispendio di energia e di tempo per
    documentarsi ma sono sforzi necessari qualora si intenda contrastare,
    sia come singoli che come categoria professionale, la deriva
    impiegatizia del nostro lavoro.

    Invitiamo pertanto i colleghi a prestare la massima attenzione nel momento delle delibere collegiali e a
    farsi promotori nelle loro scuole, nel pieno rispetto della normativa
    vigente sull'autonomia e sugli organi collegiali, dell'approvazione di
    un regolamento del collegio dei docenti, considerato che una gestione
    assemblearistica e inconcludente delle riunioni del collegio, pone
    spesso le premesse per una delega in bianco delle decisioni al dirigente
    o ad altri gruppi di potere all’interno delle istituzioni scolastiche.

    Forniamo qui uno schema di regolamento, liberamente adattabile alle esigenze
    delle singole scuole, frutto di una riflessione dei colleghi della Gilda
    degli insegnanti di Milano e di una successiva rielaborazione della
    Gilda degli insegnanti di Napoli



    CONVOCAZIONE



    Il collegio dei docenti è, in via ordinaria, convocato con circolare del
    dirigente scolastico notificata ai singoli docenti 10 giorni prima della
    data della riunione

    Laddove possibile la circolare è
    accompagnata da proposte di delibere da sottoporre al collegio preparate
    dal dirigente scolastico, dalle commissioni espresse dal collegio
    stesso, da singoli gruppi di docenti.



    ORDINE DEL GIORNO




    Entro le prime due riunioni il collegio docenti stabilisce il piano
    annuale delle riunioni ordinarie del collegio sulla base del monte ore
    previsto dal contratto nazionale.

    L’ordine del giorno per tutte
    le riunioni viene predisposto dal dirigente scolastico, tenendo conto
    del piano annuale, delle esigenze di servizio, di eventuali delibere di
    inserimento all’o.d.g. di precedenti collegi, di proposte dei gruppi di
    lavoro di docenti, delle richieste di un terzo dei suoi componenti.



    MODALITA’ DI PRESENTAZIONE DELLE PROPOSTE



    Le proposte iniziali, quelle di rettifica e quelle alternative dovranno fornire le seguenti indicazioni:

    1) punto all’ o.d.g. a cui esse si riferiscono

    2) nome del relatore proponente ed eventuali sostenitori della proposta

    3) specificazione degli obiettivi che si intendono raggiungere

    4) procedure di attuazione della proposta con indicazione dei tempi e delle risorse.



    DISCUSSIONE PRELIMINARE E PUBBLICAZIONE




    I singoli docenti cinque giorni prima della data di convocazione del
    collegio possono far pervenire al dirigente scolastico delle proposte
    indicando se trattasi di proposte in rettifica o in alternativa alle
    precedenti.

    Il dirigente scolastico, nel caso di presenza di più
    proposte su un singolo argomento all’ordine del giorno, può convocare i
    diversi relatori interessati invitandoli ad una eventuale elaborazione
    di un’unica proposta. Qualora tale tentativo di composizione non possa
    realizzarsi i relatori presenteranno separatamente al collegio le
    proposte.

    Due giorni prima della data di convocazione del
    collegio tutte le proposte pervenute saranno disponibili in sala docenti
    ed ai docenti stessi è permesso averne copia.



    DIBATTITO COLLEGIALE



    1) Il dirigente scolastico in qualità di presidente del collegio effettua
    le sue comunicazioni ad inizio di seduta nel tempo di 15 minuti.

    I successivi interventi del dirigente scolastico saranno contenuti nei
    tempi e nelle modalità previsti dai punti 2) e 3). Il dirigente
    scolastico potrà inoltre intervenire brevemente per richiamo al
    regolamento in qualità di moderatore.

    2) Ogni relatore illustra la proposta nel tempo massimo di 5 minuti.

    3) Il dirigente scolastico coordina gli interventi al dibattito. Ogni
    docente può effettuare brevi interventi di 2 minuti. Nell’intervento
    specificherà se trattasi:

    a) di richieste di chiarimenti

    b) di proposte in rettifica o in alternativa

    c) di proprio parere a sostegno o rifiuto della proposta.

    4) Il relatore al termine degli interventi ha diritto di replica per un
    tempo massimo di 3 minuti. In tale intervento il relatore può
    manifestare la volontà di far proprie le proposte di rettifica o
    rifiutarle.



    VOTAZIONI



    Il dirigente scolastico in qualità di presidente del collegio mette ai voti tutte le proposte pervenute.

    I relatori di proposte, prima dell’inizio delle votazioni, hanno facoltà
    di ritirare le proprie proposte. Il dirigente scolastico mette in
    votazione le proposte rimaste chiedendo di esprimere dapprima il voto
    favorevole, poi il voto contrario e infine l’astensione

    Se su un singolo argomento su cui deliberare esiste una sola proposta, viene
    votata la singola proposta e approvata con la maggioranza dei votanti.

    Se su un singolo argomento esistono più di due proposte il Dirigente
    scolastico mette ai voti tutte le proposte. Se nessuna delle proposte
    durante la votazione ha ottenuto la maggioranza assoluta dei votanti
    mette ai voti successivamente in alternativa le sole due proposte che
    hanno avuto il maggior numero dei voti, risulterà approvata la proposta
    che alla fine viene votata dalla maggioranza dei votanti.



    AGGIORNAMENTO COLLEGIO



    La durata massima di una riunione del collegio docenti è di quattro ore.

    Nel caso di mancato esaurimento dell’ordine del giorno entro l’ora prevista
    il collegio può decidere se continuare i lavori oppure di aggiornarsi
    al giorno successivo o ad altra data.



    CONVOCAZIONE STRAORDINARIA



    Il dirigente scolastico, per sopravvenute e urgenti esigenze di servizio
    può convocare il collegio ad horas con un preavviso comunque non
    inferiore alle 24 ore. Le proposte di accompagnamento all’ordine del
    giorno in tal caso hanno carattere informativo e i docenti nell’ambito
    del dibattito collegiale potranno presentare tutte le proposte
    necessarie.



    VERBALIZZAZIONE



    La redazione del
    verbale avrà carattere sintetico. Saranno riportate le proposte, i
    risultati delle votazioni e le delibere approvate. Il contenuto degli
    interventi non sarà riportato tranne il caso che l’intervenuto chieda
    espressamente la messa a verbale di specifiche frasi.

    Il verbale viene votato per approvazione nella seduta successiva del collegio.

    La copia del verbale da approvare viene affissa in sala docenti almeno tre
    giorni prima della riunione del Collegio per assolvere alla visione e
    alla lettura. Osservazioni sul verbale vengono avanzate in sede di
    approvazione dello stesso, tramite dichiarazione scritta che verrà letta
    e approvata.

    Edited by redrose - 20/11/2013, 19:20
     
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    Il Collegio dei docenti è un organismo di governo e non un ufficio che ratifica le strategie dirigenziali


    da Tecnica della Scuola


    Il Collegio dei docenti è un organismo di governo e non un ufficio che ratifica le strategie dirigenziali
    di Lucio Ficara


    La scuola degli ultimi 10 anni ha perso, lentamente ma costantemente, il valore della collegialità, lasciando strada ad una forma di potere oligarchico, che viene gestito ed amministrato dal Dirigente scolastico e dai suoi più stretti collaboratori
    Nel nuovo mondo scolastico dell’autonomia, in questi ultimi due lustri, si sono modificate tante cose, si è modificato il modo di pensare, quello di agire, di organizzare il lavoro ed anche il linguaggio si è modificato. Prima le decisioni venivano prese collegialmente, nel luogo deputato che era il Collegio dei docenti, oggi anche se formalmente è ancora, per volere dei decreti delegati del 1974, lo stesso Collegio che delibera, le decisioni vengono prese in altre stanze e da un ristretto numero di persone.In molte scuole sono nati i cosiddetti “Consigli di direzione”, in cui si propongono strategie didattiche, di orientamento, di marketing, si propone addirittura la flessibilità oraria dei curricoli didattici, per decidere la rotta di direzione della scuola. In seguito, le decisioni prese e votate in seno a quello che viene chiamato deliberatamente “Consiglio di direzione”, viene ratificato dal Collegio dei docenti, che a volte non si rende nemmeno conto della vera e propria usurpazione di potere che viene di fatto indotta. La domanda che sorge spontanea è : “ma dove sono finiti quei bei Collegi di una volta?”. “Quei Collegi in cui si discuteva, a volte anche animatamente e senza esclusione di colpi, e alla fine si decideva anche a stretta maggioranza?” “Dove sono finiti quei docenti che amavano partecipare, come primi attori, alle decisioni governative della scuola?” Si tratta di flebili ricordi del passato, di una scuola che non c’è più, di cui è rimasta solo la vecchia normativa dei decreti delegati del 74, integrata dalla legge 297/94, in cui è chiaro che il Collegio dei docenti è un organismo di governo della scuola , ma che di fatto è stato esautorato da un’altra norma non scritta, ma che viene attuata con fermezza e decisione, in nome dell’autonomia scolastica. Che il Collegio dei docenti è un organismo di governo, in cui chi lo presiede, cioè il Dirigente scolastico, è chiamato ad eseguire le delibere approvate dallo stesso con una votazione interna, è detto e scritto nel DPR 416 del 31 maggio 1974. All’art.4 di tale decreto è chiaramente spiegato che il Collegio dei docenti ha potere deliberante in materia di funzionamento didattico del circolo o dell’istituto. In particolare cura la programmazione dell’azione educativa anche al fine di adeguare, nell’ambito degli ordinamenti della scuola stabiliti dallo Stato, i programmi di insegnamento alle specifiche esigenze ambientali e di favorire il coordinamento interdisciplinare. Esso esercita tale potere nel rispetto della libertà di insegnamento garantita a ciascun insegnante; formula proposte al direttore didattico o al preside per la formazione e la composizione delle classi, per la formulazione dell’orario delle lezioni e per lo svolgimento delle altre attività scolastiche, tenuto conto dei criteri generali indicati dal consiglio di circolo o d’istituto. È cosa nota, a tutti i docenti , che molte delle prerogative del Collegio, scritte nel DPR 416/74, sono diventate, nella scuola dell’autonomia, anacronistiche e non sono figlie di questo tempo. L’asse del potere governativo della scuola di oggi , si è spostato tanto e tale spostamento ha generato un’insanabile frattura tra il Collegio e chi nella realtà governa la scuola. Oggi in alcune scuole, con l’avanzamento di una sorta di governo autarchico, che tutto regola all’interno dell’istituzione scolastica, si è arrivati al punto di minare addirittura la libertà d’insegnamento di molti docenti, che si sentono sempre più vessati e ingabbiati in una logica di scuola che non condividono. La riflessione che molti docenti si pongono è la seguente: “ l’autonomia scolastica sta facendo inesorabilmente il suo corso, per un volere politico trasversale, ma gli organi collegiali della scuola di oggi, sono ormai completamente svuotati di significato e privi di ogni potere, anche se le norme vigenti dicono completamente il contrario.”
     
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  3. rsustaff
     
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    Le delibere del Collegio dei Docenti





    Le riunioni del Collegio dei docenti rappresentano il luogo in cui si estrinsecano le decisioni assunte dall’organo in parola che oggettivamente poi prendono vita attraverso il corpo delle delibere. Il termine collegio rinvia infatti all’aggregazione di persone fisiche che si riuniscono insieme e si esprimono in un’unica volontà, perché formalmente delegate ad assolvere specifiche funzioni nell’ambito dell’ordine cui appartengono.

    Il primo atto formale perché un collegio sia operativo è la sua convocazione che di norma, secondo quanto disposto dal comma 4, art.7 del D. Lgs. n.297 del 1994 avviene su proposta del dirigente scolastico ogni qualvolta questi “ne ravvisi la necessità oppure quando almeno un terzo dei suoi componenti ne faccia richiesta”. E’ lo stesso dirigente che ai sensi dell’art.396 comma 2, lett.c del citato decreto cura successivamente l’esecuzione delle delibere assunte dal predetto organo.

    L’atto di convocazione e il suo relativo ordine del giorno, comprensivo degli argomenti che nella seduta saranno trattati, rappresentano il momento in cui ha inizio formalmente l’attività del collegio, la fase prodromica all’azione di cui l’organo è investito, che poi darà risultanze concrete al momento della riunione e si perfezionerà, di conseguenza, negli atti adottati dall’organo ossia nelle sue delibere. L’oggetto della delibera di un organo collegiale, così come appare anche specificato nell’ordine del giorno, costituisce dunque la fase istruttoria e preparatoria all’argomento, tutto ciò che porterà in essere alla formazione della volontà unitaria.

    L’attenzione va posta proprio sulla validità e legittimità delle delibere operate in seno al collegio dei docenti, elementi fondamentali affinché le decisioni prese, espresse dalla maggioranza, abbiano la loro efficacia. Per questo occorre chiarire sin da subito alcuni principi ineccepibili ed insiti nell’attività del collegio.

    Sulla validità delle sedute dell’organo vale quanto disposto dall’art.37 commi 1 e 2 del D.Lgs. n.297 del 1994 i quali stabiliscono che “l’organo collegiale è validamente costituito anche nel caso in cui non tutte le componenti abbiano espresso la propria rappresentanza. Per la validità dell’adunanza del collegio dei docenti (…) è richiesta la presenza di almeno la metà più uno dei componenti in carica”. Si tratta del cosiddetto quorum strutturale. Non vige quindi la regola del collegio perfetto. Tuttavia secondo un parere del Consiglio di Stato, sez. consultiva per gli atti normativi, n.104 del 23 aprile 2001 è sempre consigliato accertare l’effettivo numero legale poiché “alla stregua dei principi che governano il funzionamento degli organi collegiali, la verifica del numero legale è necessaria allorché il collegio sia prossimo ad esprimersi in forme (ad es. alzata di mano) che non consentono di acclarare formalmente il numero dei partecipanti alla votazione, risultando per converso la formale verifica superflua se la concreta modalità di votazione (ad es. chiamata nominale, come nel caso di specie) formalizza automaticamente il numero dei partecipanti alla stessa (…). La deliberazione irregolarmente espressa costituisce un atto infraprocedimentale privo di giuridica rilevanza ed insuscettibile perciò di spiegare il proprio tipico effetto formale nel seguito della procedura”.

    Come è già stato sottolineato, la convocazione dell’organo avviene a cura del presidente; la C.M. del 16 aprile 1975, n.105 avente ad oggetto “applicazione del regolamento tipo nelle more dell’adozione del regolamento interno” all’art.1 indica che “la convocazione degli organi collegiali deve essere disposta con un congruo preavviso – di massima non inferiore ai 5 giorni – rispetto alla data delle riunioni. La convocazione deve essere effettuata con lettera, diretta ai singoli membri dell’organo collegiale e mediante affissione all’albo di apposito avviso; in ogni caso l’affissione all’albo dell’avviso è adempimento sufficiente per la regolare convocazione dell’organo collegiale. La lettera e l’avviso di convocazione devono indicare gli argomenti da trattare nella seduta dell’organo collegiale”. Tali aspetti procedurali se inficiati possono determinare la nullità della convocazione. Peraltro, tale argomentazione è stata sostenuta anche da una consolidata giurisprudenza amministrativa che ha reso esplicito nel tempo l’assunto secondo il quale “la mancata convocazione di uno o più componenti rende illegittima l’adunanza e conseguentemente, le deliberazioni nella stessa prese, a nulla rilevando la presenza del numero legale, che non sana il vizio della convocazione” (T.A.R. Veneto decisione del 25/07/1974 n.21). Anche una decisione del Consiglio di Stato (n.998 del 19/02/2002) ha espresso che “l’omessa convocazione della totalità dei componenti del collegio determina l’illegittimità delle sedute e delle deliberazioni adottate, che può essere fatta valere dal soggetto avente titolo a partecipare alle sedute, indipendentemente da ogni prova di resistenza sull’esito delle votazioni, in quanto l’omessa convocazione (con conseguente mancata conoscenza dell’ordine del giorno), costituente impedimento alla partecipazione del componente non convocato alla riunione, lede la sfera degli interessi del singolo con riferimento all’esercizio dell’ufficio di cui è contitolare e del potere decisionale di intervenire o meno alla riunione, e di concorrere, dunque, o meno, al risultato della seduta (dec. n. 909 del 16 novembre 1987)”. E’ fuor di dubbio quindi che la convocazione è un dato imprescindibile per la regolarità della riunione.

    L’ordine del giorno della convocazione delinea l’antefatto dell’azione di cui l’organo è sollecitato a svolgere un approfondimento, un iter istruttorio di preparazione agli argomenti, in modo che si arrivi all’atto formale della delibera preparati e consapevoli di quanto sarà affrontato; tutto ciò è anche supportato da riferimenti giurisprudenziali i quali hanno affermato che “ai fini della validità della convocazione di un organo collegiale, è necessario che l’ordine del giorno individui gli argomenti da trattare in modo tale che i membri del Collegio abbiano la possibilità di valutare l’importanza della seduta e il contenuto dei problemi da risolvere”. (T.A.R. Puglia – Lecce, decisione 7/7/1979, n. 175) o ancora che “nell’ordine del giorno della seduta di un organo collegiale deve essere menzionato l’oggetto della deliberazione con espressioni idonee a consentire la precisa indicazione degli argomenti da trattare, in modo che i singoli membri del collegio abbiano la possibilità di valutare l’importanza della seduta ed il contenuto dei problemi da risolvere”. (Consiglio di Stato, decisione 5/6/1979, n. 427).

    Sugli argomenti non inseriti all’ordine del giorno non è possibile deliberare salvo che la decisione sia assunta all’unanimità; infatti è stato ribadito che “è legittima la deliberazione di un organo collegiale in ordine ad una materia non specificatamente indicata all’ordine del giorno, allorché risulti per certo che tutti i componenti del collegio erano preparati per discutere l’argomento e lo hanno discusso, deliberando all’unanimità” (Consiglio di Stato, decisione 14/07/1970 n.679), mentre una sentenza del TAR Puglia – Bari, 5/2/2003, n. 550 ribadisce che “è consolidata la giurisprudenza nel ritenere illegittima la deliberazione assunta da un organo collegiale, relativamente ad un oggetto non previamente indicato nell’ordine del giorno della seduta, non essendone consentita la trattazione fra le voci “varie ed eventuali”, almeno qualora l’argomento abbia un’oggettiva rilevanza ed implichi un articolato procedimento (così Cons. Stato, Sez. VI, 27/8/1997, n. 1218). L’ordine del giorno rappresenta invero non solo lo strumento mediante il quale avviene la convocazione dell’organo collegiale (configurandosi dunque come atto di iniziativa del subprocedimento inteso alla regolare costituzione del collegio), ma indica altresì la predeterminazione delle materie oggetto di trattazione, ed adempie dunque alla chiara finalità di consentire ai membri del collegio di valutare l’importanza della seduta ed il contenuto degli argomenti iscritti”.

    Il processo logico del procedimento, anteriore alla seduta vera e propria del collegio, è quindi la convocazione e la delineazione dell’ordine del giorno cui deve seguire la costituzione del quorum strutturale, vale a dire la presenza dei componenti necessari affinché la seduta sia valida.

    La seduta rappresenta il luogo fisico e temporale in cui l’azione del collegio prende vita; in essa i singoli membri possono intervenire e partecipare alla formazione della volontà dell’organo, incidendo anche sostanzialmente sulle decisioni da intraprendere. Alla discussione segue la votazione che ne concretizza la volontà.

    Ai sensi dell’art. 37 comma 3 del D.Lgs. n.297 del 1994 le deliberazioni si intendono “adottate a maggioranza assoluta dei voti validamente espressi, salvo che disposizioni speciali prescrivano diversamente. In caso di parità, prevale il voto del presidente”. E’ lecito quindi astenersi; peraltro tale assunto trova conferma in una sentenza del Consiglio di Stato, n.7050 del 4 novembre 2003 “la regola dell’astensione del componente dalle deliberazioni assunte dall’organo collegiale, di cui fa parte, deve trovare applicazione in tutti i casi in cui egli, per ragioni di ordine obiettivo, non si trovi in posizioni di assoluta serenità rispetto alle decisioni da adottare di natura discrezionale; (…) Il giudizio sull’interesse del soggetto tenuto ad astenersi è necessariamente prognostico e l’obbligo di astenersi diventa attuale allorché il soggetto “interessato” è messo in condizione di conoscere che l’atto deliberativo lo riguarda direttamente”. Resta salva la facoltà per ogni componente dell’organo, in sede di deliberazione, di esprimere il proprio dissenso; l’art. 24 del D.P.R. n.3 del 1957 specifica proprio sulla responsabilità degli organi collegiali, affermando che “quando la violazione del diritto sia derivata da atti od operazioni di collegi amministrativi deliberanti, sono responsabili, in solido, il presidente ed i membri del collegio che hanno partecipato all’atto od all’operazione. La responsabilità è esclusa per coloro che abbiano fatto constatare nel verbale il proprio dissenso”. Nel verbale sarà necessario riportare il numero dei voti a favore, dei contrari e degli astenuti.

    In tema di votazione il comma 4 dell’art.37 del citato decreto aggiunge che quest’ultima è segreta solo quando si faccia questione di persone, quindi nei casi in cui sia richiesta da parte dei membri l’esercizio di una attività discrezionale che comporti la manifestazione di giudizi ed apprezzamenti riferiti a persone. L’adozione di una votazione segreta che non abbia una natura discrezionale e che quindi risulti essere un’eccezione alla regola generale, deve essere espressamente rilevabile nel verbale (“debbono per contro essere adottate a voti palesi le deliberazioni non concernenti persone” Sandulli). Riguardo alla votazione segreta una sentenza del Tar Piemonte del 10 aprile 2009 n.988, benché concernente una delibera degli Enti Locali, ha in via generale, espresso il principio che il ricorso alla votazione segreta nei casi non indicati dalla legge non costituisce “per giurisprudenza amministrativa consolidata, motivo di illegittimità della determinazione intrapresa”; tuttavia “le ragioni della scelta devono risultare non nelle fasi preliminari all’adozione del provvedimento medesimo, ma solo nell’atto conclusivo del procedimento”. Di conseguenza il ricorso alla votazione segreta dovrebbe in teoria essere motivato, la stessa sentenza poc’anzi richiamata, asserisce infatti che tale votazione sia stata adottata dal collegio allo scopo di favorire “la libertà di determinazione” nella scelta.

    Giova ricordare che nella votazione degli organi collegiali numerose sentenze del Consiglio di Stato hanno sottolineato che la partecipazione di soggetti estranei alle sedute rende illegittime le deliberazioni assunte. E’ il caso del Collegio dei docenti, organo la cui componente, come sancito da comma 1 dell’art.7 del D.Lgs.297 del 1994 è formata “dal personale docente di ruolo e non di ruolo in servizio nel circolo o nell’istituto, ed è presieduto dal direttore didattico o dal preside”. La sentenza del Cons. di Stato del 12 aprile 2001 n.2258 così afferma“deve, pertanto, ribadirsi, alla stregua di un rigoroso orientamento giurisprudenziale in materia (Cons. Stato, Sez. VI, 21 agosto 1993, n. 585; Sez. V, 19 dicembre 1980, n. 989; Sez. IV, 8 marzo 1967, n. 74), secondo cui la presenza di soggetti non legittimati in un organo collegiale vizia gli atti adottati tutte le volte che detta presenza superi la stretta necessaria esigenza del compimento di attività serventi al funzionamento dell’organo stesso, in quanto i soggetti non legittimati possono aver influenzato la formazione del convincimento dei componenti il collegio. E’ il caso di aggiungere che la questione riguardante la partecipazione, alle sedute di un collegio, di soggetti non legittimati non attiene al problema del quorum necessario per la legittima adozione dei provvedimenti collegiali, ma il diverso problema della possibilità che i soggetti estranei, attraverso la discussione, siano in grado di influenzare la volontà del collegio, possibilità questa che è direttamente correlata alla partecipazione di soggetti estranei ai collegi, sia che si tratti di collegi perfetti, che di collegi imperfetti. Sotto diverso profilo, ne consegue che la questione della illegittima partecipazione di soggetti estranei al collegio non può essere superata con la prova di resistenza, poiché l’illegittimità delle deliberazioni adottate discende dal semplice fatto della partecipazione alla seduta di soggetti non legittimati che possono, appunto, influenzare le stesse deliberazioni”.

    La fase successiva alla delibera è la verbalizzazione che viene esperita attraverso la redazione di un processo verbale a cura del segretario, nominato da presidente. Entrambi sono tenuti a sottoscriverlo e in questa occasione il segretario riveste la figura di pubblico ufficiale e l’atto da lui formato fa piena prova, fino a querela di falso, ex art.2700 del codice civile. In merito al verbale, la Circolare Ministeriale n.105 del 1975, all’art.1 comma 4 dispone che il processo verbale sia redatto su apposito registro a pagine numerate.

    Il verbale del collegio dei docenti rappresenta l’elemento materiale in grado di attestare lo svolgimento della seduta e la relativa formazione della volontà dell’organo, durante la fase di discussione e la successiva delibera. Qui, sulla scorta di una sentenza del Consiglio di Stato, non è ultroneo affermare che va fatta un distinzione tra la delibera vera e propria e il verbale che ne certifica, al contrario, la sua entità fisica e sostanziale. La delibera coincide con la manifestazione della volontà dell’organo così come si è formata durante la seduta; il verbale è il documento che prova l’esistenza dell’avvenuta deliberazione, “la manifestazione di volontà che costituisce il contenuto della deliberazione, e la verbalizzazione che riproduce tale manifestazione, attestandone l’esistenza” (Consiglio di Stato, n.6208 dell’11 dicembre 2001). Questi due dispositivi, delibera e verbale, da un punto di vista strettamente giuridico, non sono infatti interdipendenti, giacché la “determinazione volitiva dell’organo” non dipende dall’elemento formale del verbale; quest’ultimo non è infatti un atto collegiale, ma si ribadisce, che esso sostanzia la res che garantisce a norma di legge la volontà del collegio. L’indipendenza di tali elementi non sminuisce tuttavia l’importanza del verbale che per avere riconosciuta una sua esistenza, comporta la sua sottoscrizione da parte del segretario che lo redige, contestualmente a quella del presidente, nonché la sua consequenziale approvazione nella seduta successiva. La sottoscrizione del verbale si applica anche ai suoi eventuali allegati che rivestono una funzione di supporto e di memoria alla delibera assunta; gli allegati costituiscono pertanto parte integrante del verbale.

    L’approvazione del verbale può infatti avvenire in un momento non contestuale alla delibera, anche se occorre tenere presente quanto espresso dal TAR Lazio, 2/02/2004, n.939, che così afferma: “l’approvazione del verbale non è elemento costitutivo della delibera collegiale né elemento essenziale dell’atto che la documenta, ma soltanto momento di perfezionamento dell’iter procedurale, che ha rilievo determinante per i componenti del Collegio che hanno adottato la delibera, lasciando aperto il termine per una loro eventuale impugnativa di detto verbale”.

    In tema di impugnativa risulta interessante anche il consolidato orientamento giurisprudenziale così come specificato in una sentenza del Tar Milano (sentenza 15 giugno 2012, n. 1680) “secondo cui il concetto di “piena conoscenza” dell’atto lesivo, rilevante ai fini della decorrenza del termine d’impugnazione dei provvedimenti amministrativi, sia con riferimento alla previgente disciplina (v. l’art. 21, primo comma, l. n. 1034/1971), sia con riguardo a quella attuale (v. l’art. 41, 2° comma, c.p.a.), non deve essere inteso quale “conoscenza piena ed integrale” dei provvedimenti che si intendono impugnare, ovvero di eventuali atti endoprocedimentali, la cui illegittimità infici, in via derivata, il provvedimento finale; ciò che è invece sufficiente ad integrare il concetto di “piena conoscenza” è la percezione dell’esistenza di un provvedimento amministrativo e degli aspetti che ne rendono evidente la lesività della sfera giuridica del potenziale ricorrente, in modo da rendere percepibile l’attualità dell’interesse ad agire contro di esso. Pertanto si presenta sufficiente, quanto all’onere di impugnativa, una conoscenza dell’esistenza dell’atto e della sua portata lesiva, potendo poi integrare il gravame con lo strumento del ricorso per motivi aggiunti come, del resto, statuito anche dall’art. 120, comma 5, c.p.a. (Cons. Stato, sez. IV, 21 dicembre 2001, n. 6339; sez. V, 6 ottobre 2003, n. 5873; 10 marzo 2003, n. 1275; da ultimo IV, 29 luglio 2008 n.3750). Secondo questo orientamento, mentre la consapevolezza dell’esistenza del provvedimento e della sua lesività, integra la sussistenza di una condizione dell’azione, rimuovendo in tal modo ogni ostacolo all’impugnazione dell’atto (così determinando quella “piena conoscenza” indicata dalla norma), invece la conoscenza “integrale” del provvedimento (o di altri atti del procedimento) influisce sul contenuto del ricorso e sulla concreta definizione delle ragioni di impugnazione, e quindi sulla causa petendi”.

    In ogni caso “il verbale della seduta di un organo collegiale non è mai la riproduzione meccanica della discussione orale, ma è un documento giuridico e riporta ciò che giuridicamente interessa; essendo la verbalizzazione null’altro che la forma scritta dell’atto orale da verbalizzare, ciò che non è nel verbale non è neppure nell’atto”. (TAR Lazio, decisione 9/7/1980 n.782). Indi non è necessario riportare tutto in maniera integrale, “il verbale ha l’onere di attestare il compimento dei fatti svoltisi al fine di verificare il corretto iter di formazione della volontà collegiale e di permettere il controllo delle attività svolte, non avendo al riguardo alcuna rilevanza l’eventuale difetto di una minuziosa descrizione delle singole attività compiute o delle singole opinioni espresse” (Consiglio di Stato, 25/7/2001, n.4074). Come si è avuto già modo di sottolineare il verbale non è un atto collegiale ma un documento che attesta la determinazione volitiva dell’organo; “la non ascrivibilità del verbale alla categoria degli atti collegiali comporta, come conseguenza, che la sottoscrizione di tutti i componenti del collegio, della cui attività in esso venga dato atto, non può considerarsi elemento essenziale per la sua esistenza ed intrinseca validità, che possono essere incise solo dalla mancanza della sottoscrizione del pubblico ufficiale che svolge la funzione di redattore del verbale, ovvero dalla mancata indicazione delle persone intervenute (Consiglio di Stato, 25/01/2003, n.344). L’art. 7 del D.P.R. n.445 del 2000 stabilisce che “il testo degli atti pubblici comunque redatti non deve contenere lacune, aggiunte, abbreviazioni, correzioni, alterazioni o abrasioni. Sono ammesse abbreviazioni, acronimi, ed espressioni in lingua straniera, di uso comune. Qualora risulti necessario apportare variazioni al testo, si provvede in modo che la precedente stesura resti leggibile”.

    In ultimo, ogni membro del collegio, ai sensi della Legge n.241 del 1990, ha diritto all’accesso del verbale senza che occorra specificare un interesse concreto; a proposito una recente sentenza del Consiglio di Stato del 6 maggio 2013 n.2423 ha specificato che “l’interesse è in re ipsa, inerendo alla funzione di componente del collegio dei docenti, che giustifica l’esigenza di conservare e poter disporre della documentazione dell’attività svolta. Il componente di un organo collegiale dell’amministrazione ha un interesse concreto e diretto, oltre che qualificato, a disporre di copia degli atti e dei verbali inerenti all’attività del collegio stesso, per verifica, approfondimento, memoria dell’iter di formazione della volontà collegiale (cfr. Cons. Stato, VI, 9 giugno 2005, n. 3042); disponibilità che non può essere circoscritta solo all’occasione delle riunioni cui egli partecipa o della apposizione della firma ai verbali ad esse relativi. Proprio alla qualità di componente di organo collegiale dell’istituzione scolastica si riconnette l’interesse, cui la disponibilità della documentazione può essere funzionale, ad ogni utile iniziativa sul piano propositivo e deliberativo per il miglior perseguimento degli interessi di rilievo pubblico che fanno capo all’istituzione stessa”.

    Katjuscia Pitino

     
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  4. apatiavirale
     
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    IL COLLEGIO DEI DOCENTI HA FINALMENTE MOSTRATO DI ESISTERE.



    rja7

     
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  5. rsustaff
     
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    Organi collegiali. Non solo 36 ore. Si punta ad ingresso enti esterni nella scuola





    L'attenzione di questi giorni è concentrata soprattutto sulla questione delle modifiche all'orario dei docenti. Ma non vorremmo passasse in sordina un altro degli obiettivi che il Governo Renzi vuol perseguire relativamente alla scuola. Anche perché il primo tentativo è già stato fatto.

    Si tratta della riforma degli organi collegiali, che i Governi di questi ultimi anni (a partire dalla Moratti e dalla riforma Aprea) hanno messo in agenda, ma non hanno mai portato a termine.

    L'unica "riforma" attuata è stata il mancato rinnovo del CNPI, tra l'altro bocciato dai tribunali italiani. Bocciatura per la quale si rischia l'invalidazione di alcune sperimentazioni e il commissariamento del Ministero stesso.

    E, difatti, il Governo Renzi ha provato a metterci su una pietra (tombale) durante l'elaborazione della cosiddetta riforma della Pubblica Amministrazione, quando, in una delle bozze comparve la cancellazione proprio del CNPI e l'anticipazione di una non identificata riforma degli organi collegiali. Tutto scritto qui

    Emendamento scomparso dal testo definitivo, ma Reggi, durante i lavori del Cantiere scuola svoltosi a Terrasini. ha avanzato l'idea di avviare una riforma anche degli organi collegiali, a partire dalla possibilità di ingresso nei Consigli d'Istituto anche di soggetti esterni.

    Progetto che, chiaramente, si sposa con l'idea di una scuola aperta che dialoghi con il territorio e che, di conseguenza, coinvolga nei processi decisionali anche chi, da esterno, partecipa all'offerta formativa.

    L'ultimo tentativo in questa direzione era stato avviato dallo stesso Partito Democratico che nel 2012 aveva adottato il testo dell'ex Sottosegretario Aprea, modificandone diversi aspetti e giungendo anche all'approvazione in uno dei rami della VII Commissione cultura.

    Le serrate di studenti e docenti avevano costretto ad un passo indietro. Da quel momento non se ne è più parlato, ma resta l'obiettivo.

    Tra le critiche portate alla riforma Aprea, c'era quella di voler trasformare i Consigli d'istituto in CdA, Consigli di Autonomia, nel quale far entrare (seppure senza diritto di voto) membri esterni: da rappresentati di amministrazioni, ad aziende private.

    Sarà rispolverato lo stesso progetto? Vedremo. Intanto ci accontentiamo delle parole del Sottosegretario Reggi che ha parlato della necessità della riforma e di come bisognerà distinguere nettamente i compiti dei vari organi, con il Consiglio d'istituto che dovrà avere funzione strategica, mentre il Consiglio di classe didattica, e al Dirigente dovrà essere data la possibilità gestionale con aumento di responsabilità.

    Linee molto vaghe ma che contribuiscono ad un avvio del dibattito per una riforma che da molte parti viene vista come essenziale per rispondere meglio ad una scuola ed una società che cambia.
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4 replies since 18/4/2013, 07:42   601 views
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