Vivalascuola. I nuovi serali: una scuola al 70%­

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    Vivalascuola. I nuovi serali: una scuola al 70%





    Pubblicato su maggio 19, 2014 da vivalascuola

    Dopo 7 anni di annunci, rimandi, ripensamenti, sperimentazioni, a settembre 2014 dovrebbe partire la “riforma” dell’istruzione degli adulti che istituisce i CPIA. La logica è sempre la stessa: “riformare” per, in nome dell’efficienza, tagliare il servizio. Il quadro orario si attesta sulle 23, 24 ore settimanali: alcune materie vengono drasticamente ridimensionate (italiano, matematica, le lingue), altre quasi scompaiono (storia, diritto). L’orario viene ridotto al 70% dei corrispondenti corsi diurni e la definizione dell’organico viene subordinata al vincolo di 10 docenti per 160 studenti. Lo Stato, tagliando un 30% del curriculum, prevede di tagliare anche un 30% del personale. D’altra parte, nel 2007, la proposta di istituzione dei CPIA si trovava, non a caso, al comma 632 della Legge Finanziaria. Non si tratta di difendere una manciata di ore, anche quando rappresentano una cattedra in più o in meno. È una logica culturale quella per cui vale la pena di lottare, in nome di coloro che non hanno la voce e gli strumenti per farlo.

    ..Indice
    (Clicca sul titolo per andare subito all’articolo)

    Marina Polacco, Una riforma fantasma. A proposito delle nuove norme sull’istruzione per gli adulti
    Giovanna Lo Presti, I nuovi serali della “riforma“: una scuola al 70%
    Centri istruzione adulti, MIUR emana circolare dell’avvio con linee guida e quadri orario aggiornati
    Roberto Urbano, Il nuovo sistema per l’Istruzione degli Adulti. Un Bel Paese per ignoranti
    Le notizie della settimana scolastica
    Risorse in rete

    Una riforma fantasma. A proposito delle nuove norme sull’istruzione per gli adulti
    di Marina Polacco

    Come molti già sanno, è partito da qualche anno, precisamente dal 2010, un progetto di riforma teso a riorganizzare il settore dell’istruzione per adulti: le scuole carcerarie, i corsi serali, i cpt e i corsi di alfabetizzazione, destinati a confluire in una nuova istituzione scolastica, i CPIA (Centri per l’istruzione degli Adulti), con tanto di organico specifico, dirigente a sé e autonomia gestionale.

    Al febbraio 2013 risale la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del regolamento relativo all’assetto organizzativo di questi Centri, sulla base di una suddivisione in tre ambiti: corsi di alfabetizzazione e apprendimento della lingua italiana per adulti stranieri; percorsi di primo livello suddivisi in due periodi didattici (il primo per il conseguimento del diploma di scuola media, il secondo per la certificazione della competenza di base del primo biennio superiore); percorsi di secondo livello articolati in tre periodi didattici (primo biennio superiore, secondo biennio superiore, quinto anno).

    Apparentemente subordinata a questa ridefinizione organizzativa, ma sempre ben presente nei vari documenti ministeriali a riguardo, è la ridefinizione dell’assetto didattico, così da garantire (citiamo testualmente) «una maggiore razionalizzazione delle risorse umane e strumentali disponibili»: l’orario complessivo viene ridotto al 70% dei corrispondenti corsi diurni e un 20% delle ore sono destinate a finire on-line; la definizione dell’organico viene subordinata al vincolo di dieci docenti per centosessanta studenti.

    Il fine di tutta l’operazione è dichiaratamente duplice: da una parte accelerare e snellire i percorsi per favorire l’acquisizione del diploma, dall’altra ridurre gli sprechi e razionalizzare l’uso delle risorse a disposizione. Forse più l’una che l’altra, occorre dirlo: se è vero che sprechi e disfunzioni ce ne sono stati e continuano ad esserci (corsi fantasmi, aule deserte, classi esistenti solo sulla carta…), secondo una prassi tipicamente italiana piuttosto che agire sull’individuazione dei punti critici, si è preferito buttare tutto all’aria indiscriminatamente – soluzione più comoda, facile, economica, brutale.

    Negli anni scorsi, a dispetto delle ingiunzioni attuative susseguitesi, la messa in pratica della riforma è stata sostanzialmente procrastinata di anno in anno, in una situazione ancora più caotica del consueto, tale da gettare nello sconforto, o nell’indifferenza, dirigenti e sovrintendenti scolastici. In fondo, stiamo parlando di una utenza marginale (e non solo per consistenza numerica), di una zona grigia dai confini sfumati, travolta dalle mille criticità dell’istruzione scolastica ‘normale’.

    Da una parte piovevano ingiunzioni repentine e improvvise di riduzione, di adeguamento dei quadri orari dei corsi serali alle linee guida previste dalla riforma (quante volte ci siamo trovati a rivedere l’organico dalla sera al mattino, sulla base di inviti tanto generici quanto insindacabili, puntualmente smentiti a distanza di poche ore); dall’altra nulla veniva fatto per arrivare alla definizione operativa dei tanto attesi CPIA; cosicché, alla fine, le singole scuole hanno agito di loro iniziativa, a volte lasciando tutto invariato (se non esistono ancora i CPIA, se non esiste una nuova struttura organizzativa, che senso ha modificare il quadro esistente?), a volte applicando in maniera fin troppo impeccabile le famose direttive.

    Il caos scaturito da questo vuoto legislativo è stato ben testimoniato nel corso del Convegno nazionale organizzato dal CESP (Centro studi per la scuola pubblica, uno dei soggetti più attivi nell’analisi e nella discussione del progetto di riforma, soprattutto in relazione alle scuole ‘ristrette’ o carcerarie) a Rebibbia, il 14 febbraio 2014.

    In questa occasione hanno preso la parola molti dei dirigenti ai quali sono stati affidati i cosiddetti progetti assistiti (una decina di progetti pilota, avviati all’inizio dell’anno scolastico in corso in tutta Italia, volti a vagliare sul campo le ‘criticità’ della riforma), presentando una serie di esperienze di una difformità sconfortante: alcuni hanno praticamente già avviato i famigerati Centri, creato nuove strutture, individuato i dirigenti; altri sono rimasti completamente bloccati dalla mancanza di fondi adeguati; altri si sono limitati a razionalizzare l’esistente, creando sul territorio delle ‘reti’ tra istituzioni scolastiche, Cpt e altre iniziative presenti.

    In questa situazione persistente di caos è piombato ad aprile l’ennesimo diktat: il decreto interministeriale che impone per il prossimo anno scolastico la riduzione al settanta per cento del monte orario dei corsi serali. Sparito qualsiasi accenno ai CPIA, sparita qualsiasi volontà di avviare una reale risistemazione del settore, rimane, nuda e cruda, la necessità di tagliare, ridurre, snellire. Se all’interno di un progetto complessivo di riforma le stesse indicazioni potevano essere lette come un tentativo di migliorare il ‘servizio’ offerto all’utenza (nella fattispecie, un percorso più semplice e veloce per accedere al tanto sospirato diploma), estrapolate dal contesto si rivelano più chiaramente per quello che sono: un impoverimento sostanziale dell’offerta formativa.

    Come è ovvio che avvenga, nelle singole scuole serali la prima preoccupazione è stata la salvaguardia dell’organico esistente; eppure non è questo il vero nodo della questione. Per noi professori di ruolo la perdita di un posto in una scuola implica al massimo la fastidiosa necessità di mettere in discussione abitudini consolidate; per i colleghi precari, significa cercare altrove una possibilità di lavoro e di collocazione (e in questo caso la perdita di un posto equivale a quella di qualsiasi altro). Ma per coloro che accedono al corso serale è una perdita secca, irrecuperabile. Una perdita che oltretutto viene proposta loro come uno straordinario guadagno.

    Dopo accanite discussioni, sembra che l’ambiguità insita nella definizione di ‘periodo’ al posto di ‘anno scolastico’ sia stata definitivamente sciolta, confermando l’articolazione in cinque anni dei percorsi di istruzione superiore. Ma con la riduzione al settanta per cento il quadro orario si attesta sulle 23, 24 ore settimanali: alcune materie vengono drasticamente ridimensionate (italiano, matematica, le lingue), altre quasi scompaiono (storia, diritto), a tutto discapito di quella che una volta si definiva ‘formazione generale’ (le materie professionali sono infatti quelle più tutelate, come del resto è ovvio che sia, soprattutto in istituti professionali).

    Certo, questo significa maggiore agevolazione per gli studenti lavoratori, possibilità di coniugare più facilmente tempi di studio e tempi di lavoro; ma non tiene in alcuna considerazione quella che è ormai la reale utenza dei corsi serali: ragazzi catapultati alla sera dal fallimento nel corso diurno, stranieri alla ricerca di strategie per acquisire una cittadinanza reale, giovani irrequieti delusi dai tanti corsi di formazione professionale rivelatisi inutili, adulti già sistemati ma desiderosi di mettersi alla prova, di avere una seconda opportunità. Persone che hanno tempo, e spesso anche voglia, di mettersi in gioco davvero, e che solo in apparenza hanno fretta di finire il più velocemente possibile. La riduzione dl tempo scolastico che si offre loro è in realtà un furto, equivale all’offerta di un tempo vuoto, sostanzialmente inutile.

    In altra occasione, mi era sembrato opportuno ricordare le parole di Don Lorenzo Milani a proposito del diploma e del suo valore effettivo:

    «Anche il fine dei vostri ragazzi è un mistero. Forse è volgare. Giorno per giorno studiano per il registro, per la pagella, per il diploma. E intanto si distraggono dalle cose belle che studiano. Lingue, storia, scienze, tutto diventa voto e null’altro. Dietro a quei fogli di carta c’è solo l’interesse individuale».

    Il succo della storia mi sembra ancora questo, forse oggi più che mai: qual è il nostro fine, qual è il fine che vogliamo attribuire alla scuola, che cosa significa per noi educare/istruire/formare. La riforma dei corsi serali, così come la riorganizzazione dell’istruzione professionale, è senz’altro una questione contingente, ma ci costringe a riflettere sul valore che vogliamo dare alla scuola e alla funzione docente. Certo, è importante che alla fine del percorso di studi gli studenti abbiano acquisito delle competenze tecniche, che sappiano redigere un bilancio, riparare un circuito elettrico, assemblare le componenti di un computer, decorare una torta; ma altro significa – come diceva sempre Don Milani – diventare «cittadini sovrani».

    Ancora una volta, siamo sospesi nel caos. A tutt’oggi non si ha alcuna certezza sui tempi e le modalità di applicazione dell’ultimo decreto. I dirigenti e i sovrintendenti non sanno come determinare il quadro orario dei corsi serali, e di conseguenza come definire le classi e l’organico. Noi, in quanto insegnanti ‘serali’, non sappiamo quale sarà la realtà in cui ci troveremo a lavorare l’anno prossimo. Ma il tentativo di evitare la riduzione del quadro orario prevista dalla riforma è tutto fuorché una battaglia in nome di interessi corporativistici. Non si tratta di difendere una manciata di ore, anche quando queste ore rappresentano una cattedra in più o in meno. È una logica culturale quella per cui ancora oggi vale la pena di lottare, in nome di coloro che non hanno ancora la voce e gli strumenti per farlo. [torna su]

    * * *

    I nuovi serali della “riforma“: una scuola al 70%
    di Giovanna Lo Presti

    Dopo un iter settennale, segnato da ripensamenti, ritocchi, “tavoli tecnici”, sembra giunta in porto la “riforma” dell’istruzione degli adulti che istituisce i CPIA. La logica seguita da chi decide è sempre la stessa: inventarsi una “riforma” che, in nome dell’efficienza, permetta di tagliare il servizio, produrre centinaia di pagine di orrenda prosa burocratica, volta a vampirizzare, burocratizzandolo ancora di più, il lavoro dei docenti, non ascoltare le proteste di chi, nel settore dell’istruzione degli adulti, lavora da anni.

    Cosa si deve pensare di una norma che si aggira sul mondo scolastico italiano dall’ormai lontano 2007 (governo Prodi) e che, nonostante il Decreto ministeriale che in quell’epoca ne dispose l’attuazione, nel 2014 ancora non è stata attuata? Dovremmo almeno supporre che quella norma, che sta a bagnomaria da sette anni, qualche problema ce l’ha.

    Nel frattempo, infatti, la scuola italiana, è stata colpita dal terremoto della “riforma” Gelmini, riforma in peius, ma che molte cose ha mutato: e non sono valsi i pronunciamenti contrari del CNPI né del TAR a bloccarla, perché la “riforma” ha percorso la sua strada come un schiacciasassi inarrestabile. La norma talmente scoclusionata da stentare a prender corpo è quella che prevede la riforma dell’istruzione degli adulti e che stabilisce (malamente) il passaggio dagli attuali CTP (che offrono corsi finalizzati al conseguimento della licenza di scuola primaria e secondaria di primo grado) e delle scuole superiori serali ai cosiddetti CPIA , i nuovi centri che dovrebbero provvedere all’istruzione degli adulti.

    Sembra che nel prossimo settembre la nave verrà varata: lo afferma la Circolare Ministeriale 36 sull’avvio dei CPIA, corredata dalle Linee guida con le indicazioni operative ed i piani di studio dei futuri CPIA. Non ho lo stomaco, né il tempo, né la voglia di tradurre in italiano corrente l’orrenda prosa burocratica di questi documenti. Mi limito, quindi, a prelevare un campione ed assicuro al lettore che non ho scelto la parte più delirante e che tutto il resto si colloca, se così si può dire, sullo stesso livello di insensatezza.

    Quelli che seguono dovrebbero essere i risultati di istruzione conseguiti al termine del primo livello in Italiano e in Inglese. Meglio, dovrei parlare non di Italiano ed Inglese ma di “Asse dei linguaggi”. Dunque, lo studente deve essere in grado di

    “esprimere e interpretare in lingua italiana concetti, pensieri, sentimenti, fatti e opinioni in forma sia orale sia scritta; interagire adeguatamente e in modo creativo sul piano linguistico in un’intera gamma di contesti culturali e sociali, [...]

    far crescere la consapevolezza di sé e della realtà, esercitare pienamente la cittadinanza; comprendere, esprimere e interpretare in lingua inglese concetti, pensieri, sentimenti, fatti e opinioni in forma sia orale sia scritta in una gamma appropriata di contesti sociali e culturali, quali istruzione e formazione, lavoro, casa, tempo libero, a seconda dei desideri o delle esigenze individuali [...]

    avere consapevolezza dell’importanza dell’espressione creativa di idee, esperienze ed emozioni in un’ampia varietà di mezzi di comunicazione, anche per ampliare la gamma di percezione e comunicazione; coltivare, attraverso un’accresciuta capacità estetica, forme di espressione creativa e fruire del patrimonio artistico e culturale, con attenzione per la tutela, la conservazione e la valorizzazione dei beni artistici ed ambientali; utilizzare con dimestichezza e spirito critico le tecnologie della società dell’informazione per il lavoro[...]“.

    Tutto questo (e parecchio altro) lo studente lo dovrebbe conseguire al termine del primo livello; non sono in grado di immaginare quali dovrebbero essere le sue conoscenze al termine del percorso di istruzione superiore, a qual punto arriverà allora la creatività, la coscienza di sé, la capacità di espressione e di comunicazione del diplomato. È pur vero che la fantasia dei burocrati ministeriali è tanta!

    Per l’istruzione superiore, i nostri burocrati, ad esempio, hanno risolto i problemi connessi alla forzata nascita dei CPIA attraverso una scelta linguistica originale: ci dicono infatti che “i percorsi di istruzione di secondo livello sono realizzati dalle istituzioni scolastiche presso le quali funzionano i percorsi di istruzione tecnica, professionale e artistica, rimanendo in esse incardinati”. INCARDINATI: la parola è evocativa, suggerisce ma non chiarisce, allude ma non conclude. Perfetta!

    Io, invece, concludo così: non ci vuol molto a capire che siamo di fronte ad un altro esempio di quella che definisco “la scuola di carta”. Tale scuola, che vive nella fantasia patologicamente sfrenata della burocrazia ministeriale, non ha alcuna relazione con la scuola reale, ma la soffoca e la condiziona. È urgente, se non vogliamo naufragare nei particolari (ho assistito ad una penosa riunione in cui docenti dei serali discutevano dei quadri orari, come se spostare un’ora da una materia all’altra potesse risolvere il problema generale) e farci stordire dai fumi ministeriali tornare alla verità effettuale e concentrarci sull’essenziale.

    Insegno in una scuola superiore professionale serale: vivo in una condizione lavorativa che, rispetto a quella dei colleghi che insegnano al diurno della stessa scuola, è senz’altro privilegiata. Non si deve entrare in classe e mantenere l’ordine pubblico, non si devono sedare adolescenti riottosi, alla fine di un’ora può accadere, addirittura, che qualche studente ringrazi per la lezione. Insomma, si può fare il nostro lavoro, che è quello di insegnare.

    Più della metà dei nostri studenti provengono da altri Paesi: dall’Est europeo, dall’America centro-meridionale, dall’Africa. Abbiamo studenti adulti (sopra i venticinque anni) e studenti ventenni: sono questi i più problematici, poiché quasi sempre pluriripetenti e ostili alla scuola. Sono anche i primi che si perdono per strada, poiché privi di motivazioni ed inseriti all’inizio dell’anno in classi super-affollate (a volte si superano i trentacinque iscritti, altro che classi-fantasma!). Se, invece, li si potesse seguire dignitosamente sin dall’inizio, qualcuno riusciremmo a recuperarlo.

    Nella mia scuola già si tiene conto di ciò che gli studenti sanno e si cerca, in ogni modo, di facilitare ed abbreviare il percorso di studio, ben consapevoli del fatto che lavorare e studiare è impegno di non poco conto. Non avevamo bisogno che l’intervento ministeriale ci sollecitasse a considerare i “saperi formali, informali, non formali” posseduti dagli studenti.

    Aggiungo che fra gli studenti più motivati ci sono signore quarantenni (o anche più avanti negli anni), madri di famiglia e lavoratrici. Ne ho viste parecchie in questi anni: non saltano un giorno di lezione e sono grate per tutto ciò che la scuola riesce a dar loro. E non credo siano contente che la scuola sottragga loro un terzo di lezioni, perché sono lì per imparare e sanno che imparare richiede tempo.

    Detto questo, il quadro non è tutto roseo: è evidente che gli studenti stranieri avrebbero (non tutti, ma quasi) bisogno di un supporto deciso per quel che riguarda la conoscenza della lingua italiana. Noi, adesso, possiamo offrire loro qualche ora di consulenza, del tutto insufficiente per colmare il gap linguistico. Bisogna, quindi, stigmatizzare il fatto che non si offra agli stranieri la possibilità reale di imparare la lingua italiana: cosa che si può fare soltanto con un corso serio, condotto da personale preparato nella didattica dell’Italiano per gli stranieri. Se il problema linguistico potesse essere affrontato con i mezzi giusti, la scuola serale in cui lavoro funzionerebbe davvero e non avrebbe bisogno di alcuna “riforma”.

    Riusciremmo, forse, in classi più contenute, a recuperare alla scuola anche quei pluriripetenti di cui parlavo prima. Dal prossimo anno, invece, le cose andranno peggio, in quanto scomparirà dai compiti dei CTP quello dell’alfabetizzazione funzionale; inoltre, per la scuola superiore, si assisterà ad un taglio del 30% del curriculo. Non è difficile immaginare quali siano le vere motivazioni di tutto questo trambusto portato nell’ambito dell’istruzione per gli adulti.

    Lo Stato, tagliando un 30% del curriculum, prevede (non per quest’anno, pare) di tagliare anche un 30% del personale: il movente è sempre la solita riduzione della spesa pubblica. D’altra parte, nel 2007, la proposta di istituzione dei CPIA si trovava, e non a caso, al comma 632 della Legge Finanziaria, quella Legge che, negli ultimi quindici anni, è stata il luogo della reale politica scolastica italiana.

    Semplice spiegare l’essenza di tale politica: proliferazione di scartoffie e tagli alla spesa per la scuola statale, naturalmente in nome dell’efficienza e dell’efficacia del sistema. Nel contempo, mentre la scuola statale viene messa in confusione, un flusso di denaro pubblico va a foraggiare strutture “parallele”, come i corsi di formazione professionale regionale, spesso al centro di scandali per la gestione deliquenziale di quei fondi.

    La conclusione è triste: si conferma, ancora una volta, che il nostro Paese è governato da una setta che, nonostante abbia giurato sulla Costituzione, si affanna con tutti i mezzi a demolire la scuola statale, dopo aver messo al bando verità e buon senso.

    Cambiano i ministri dell’Istruzione ma non cambiano le bugie: l’esibita attenzione per l’istruzione degli adulti è la facciata dietro la quale si nasconde un ulteriore peggioramento di un settore dell’istruzione di grande valore sociale, che invece bisognerebbe aiutare con un sovrappiù di risorse. Tutto questo avviene in nome di una logica di gretto risparmio – e se almeno non ci annoiassero con la solfa del primato dell’istruzione già potremmo dirci un po’ più contenti. [torna su]

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    Materiali

    Centri istruzione adulti, MIUR emana circolare dell’avvio con linee guida e quadri orario aggiornati

    Si tratta dei CPIA che andranno a sostituire i più noti corsi serali per adulti e che permetteranno di conseguire il titolo d’istruzione di scuola primaria, media e superiore e rilasceranno la certificazione della conoscenza della lingua italiana. Pubblichiamo rettifica quadri orario emanata dal MIUR.

    Il Ministero ha emanato la Circolare contenente le istruzione per l’attivazione dei Centri e per la determinazione delle dotazioni organiche.

    Allegate, inoltre, le linee guida, con lo scopo di dare indicazioni circa:

    l’assetto organizzativo (dal patto formativo individuale, ai gruppi di livello, alla progettazione dei percorsi per unità di apprendimento, alle scuole nei carceri, alle risorse umane e finanziarie)

    l’assetto didattico (percorsi di istruzione di primo livello, di alfabetizzazione e di istruzione di secondo livello)

    l’organizzazione degli strumenti di flessibilità (dall’accoglienza-orientamento, alla fruizione a distanza)

    Scarica la circolare

    Scarica le linee guida

    Scarica allegati alle linee guida con quadri orario aggiornati. (continua qui)

    Scarica la circolare per le iscrizioni ai percorsi. [torna su]

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    Il nuovo sistema per l’Istruzione degli Adulti. Un bel Paese per ignoranti
    di Roberto Urbano

    Il MIUR sta per dare avvio al nuovo sistema per l’Istruzione degli Adulti. Dopo oltre sette anni dalla Legge 296 del dicembre del 2006 che deliberava la nascita delle nuove istituzioni scolastiche, forse i CPIA (Centri per l’Istruzione degli Adulti) vedranno la luce nel settembre 2014. Abbiamo sempre pensato che riforme serie dell’istruzione non potessero essere realizzate a “costo zero”, eccoci accontentati: la riforma si realizzerà con un taglio considerevole di risorse. In tutti i provvedimenti che riguardano l’avvio dei CPIA, regolamenti, linee guida, circolari, decreti, ecc… è sempre ripetuta, più volte, la magica formula che spalanca le porte dell’ignoranza per questo bel Paese: “… senza oneri aggiuntivi per lo Stato”.

    Sono tanti gli aspetti di forte criticità che presentano i dispositivi normativi e applicativi di questa nuova istituzione scolastica, ma voglio soffermarmi solo su alcuni di questi, quelli più gravi.

    Il primo grida vergogna. Non c’è indagine, italiana e internazionale, che non sottolinei come negli ultimi vent’anni il nostro Paese stia scivolando sempre di più nel baratro dell’analfabetismo. Una delle ultime è l’indagine PIAAC (Program for the International Assessment of Adult Competencies) realizzata dall’OCSE: su 24 paesi di Europa, America e Asia, nella popolazione adulta tra i 16 e i 65 anni, l’Italia è risultato all’ultimo posto per literacy (lettura e comprensione di testi scritti) e penultimo per numeracy (applicazione di semplici concetti matematici). Il 30% della popolazione italiana in età di lavoro non è in grado di capire o scrivere una breve frase e il 40% ha grandi problemi a comprendere un semplice articolo di giornale. Ebbene il nuovo sistema taglia fuori proprio queste persone dall’offerta di formazione pubblica: chiede ai CPIA di occuparsi solo di titoli di studio, affermando che l’accesso ai corsi dei Centri non è consentito a chi ha già assolto l’obbligo di istruzione.

    Noi sappiamo che una persona a rischio alfabetico quando decide di rientrare in formazione, con grande sforzo (le 150 ore di permesso retribuito sono ormai un privilegio riservato ai dipendenti pubblici e molti allievi devono nascondere al datore di lavoro la frequenza a percorsi di studio), non pensa ad un corso di 3-4 anni per conseguire un diploma di istruzione superiore.

    Queste persone hanno bisogno di una manutenzione/potenziamento delle competenze di base, chiedono di acquisire i saperi minimi e le competenze necessarie per stare al passo con i cambiamenti che investono la loro vita quotidiana. Queste persone, e il nostro Paese, hanno la necessità di una massiccia azione di alfabetizzazione funzionale, e solo successivamente, dalla consapevolezza che riusciranno a costruire, se noi insegnanti saremo bravi, potrà nascere il bisogno di ulteriore istruzione e di titoli di studio. Ma tutto ciò non sarà possibile nei nuovi CPIA, che vedranno le risorse loro assegnate sulla base del numero di diplomi conseguiti.

    Il secondo è l’anti-pedagogia. Qual è la ricetta per riportare gli adulti a scuola per conseguire un diploma? Semplice: si prende la scuola del mattino, con tutte le sue materie (compresa religione); si tolgono il 30% delle ore, così questa riforma è a “costo sotto-zero”; si accende la luce, per dare l’idea che si tratta di un corso serale, … e la “bignamizzazione” della scuola è servita.

    Questo prevede la nuova istituzione: un taglio lineare, uguale per tutte le discipline, del 30%; senza il minimo sforzo di ripensare a curricoli didattici tarati sugli adulti; senza la necessità di rivedere le competenze alla luce di una nuova cittadinanza, al confronto con il mondo del lavoro.

    L’unica riflessione che ha preso più tempo è la necessità di ricondurre il nuovo monte orario delle discipline a quota 33 o suoi multipli … non sia mai che chi comanda in questa nuova scuola siano i bisogni di competenza degli alunni, a scapito dell’orario-cattedra e dell’organizzazione scolastica.

    Il terzo è la vittoria della burocrazia. Nei compiti del nuovo CPIA (in realtà i vecchi CTP svolgono questo compito da anni) c’è l’insegnamento della Lingua Italiana L2 ai cittadini migranti, e per il calcolo delle risorse di organico necessarie a realizzare questi corsi si prendono in considerazione solo gli Attestati rilasciati di livello A2 del Quadro Comune Europeo di Riferimento. Perché mai solo il livello A2? Perché tutta una serie di normative del Ministero dell’Interno (Accordo di Integrazione, Permesso di Lungo Soggiorno) hanno come riferimento il livello A2 del QCER. E tutti i migranti, che in questi anni si sono rivolti ai CTP per imparare la lingua Italiana, che sono analfabeti in lingua madre, che hanno una bassa scolarità, che hanno una lingua madre che non utilizza caratteri latini, … a tutti questi cittadini che impiegano più tempo per arrivare al livello A2, con quali risorse i nuovi CPIA daranno loro risposte? Se non fosse che questa scelta è dovuta unicamente a cecità burocratica e a lontananza dal mondo reale, potrebbe essere un’interessante provocazione: è come dire ad una scuola superiore, “ti riconosco l’organico per le classi prime solo sulla base del numero di allievi che hanno la promozione in seconda” … immagino le percentuali di bocciati in prima superiore crollare vertiginosamente! (vedi qui) [torna su]

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    Personale ATA e CPIA. Si cercano soluzioni per non effettuare tagli. Verso perequazione organici tra regioni




    Giorno 23 maggio è stata pubblicata la nota n. 39 che dà avvio alle iscrizini ai CPIA per il 2014/15. Nessun taglio per i docenti rispetto ai CTP, ma forti dubbi erano stati espressi per gli ATA.

    Infatti, mentre l'avvio dei nuovi centri non comporterà modifiche al corpo docente rispetto ai CTP, dubbio, invece, era stato espresso dalle OO SS, per il personale ATA.

    Infatti, la circolare che contiene le linee guida e i quadri orari aggiornati, prevede in misura corrispondente alla somma dei posti già in carico ai CTP, senza tenere conto dell'effettivo fabbisogno che potrebbe derivare da esigenze legate alle nuove istituzioni.

    Ieri, si è svolto un incontro al Ministero per discutere delle problematiche relative al personale ATA nei CPIA.

    Pare che l'amministrazione voglia andare incontro alle esigenze espresse dai sindacati e che si voglia individuerà un criterio per la determinazione dell’organico di diritto dei CPIA per il personale ATA che tenga conto non solo della consistenza degli alunni e delle sedi, ma anche dell’ampiezza oraria di svolgimento delle attività di tali istituzioni scolastiche;

    Inoltre, il MIUR intende studiare il modo per evitare i rischi di una eccessiva mobilità del personale ATA che dovrà operare in tali istituzioni scolastiche in relazione alla notevole ampiezza territoriale dei CPIA.

    Inoltre, ieri si è anche discusso della necessità, a seguito delle mutate situazioni dell'incremento e decremento degli allievi, di una perequazione, un riequilibrio dei posti tra le regioni (come già avvenuto per i docenti) alla luce del dimensionamento definito di concerto della conferenza Stato-Regioni, in modo da operare su una situazione uniforme in base agli stessi parametri.

    La seduta è stata aggiornata al 5 di Giugno, dati in cui saranno date maggiori dettagli
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