Quando entravo in classe: vertigini, nausea, irritabilità, mi sentivo stressata.

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  1. rsustaff
     
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    Quando entravo in classe: vertigini, nausea, irritabilità, mi sentivo stressata.



    Conoscere segni e manifestazioni del Disagio
    di Vittorio Lodolo D'Oria


    Quando entravo in classe: vertigini, nausea, irritabilità, mi sentivo stressata.

    Scrive una maestra (cui daremo lo pseudonimo di Roberta):

    Carissimo dottore,

    sono una docente elementare entrata in ruolo nel 1992 e con 6 anni alle spalle di precariato. Attualmente sono distaccata in segreteria dal 2006, poichè dopo la nascita del mio primo figlio, avvenuta nel 2002, ho continuato ad insegnare, portando a termine il ciclo. L'anno dopo ho ottenuto il trasferimento nella scuola elementare vicino casa mia e mi è stata assegnata una classe prima con 15 alunni, 3 dei quali con problemi. Non so ancora cosa abbia influito ma ho passato un periodo in cui non stavo bene, né a casa, né a scuola. La mattina mi alzavo presto, avevo dei momenti in cui non vedevo l'ora di essere a scuola. Infatti arrivavo quasi sempre prima del mio orario e nei momenti in cui non ero con i bambini mi sentivo serena, mentre quando entravo in classe cominciavo ad accusare sintomi strani: vertigini, nausea, irritabilità, mi sentivo stressata e questo mio stato si riversava anche in famiglia. Così un giorno, dopo un colloquio con il mio Dirigente, il quale mi ha solo messa al corrente che, se lo avessi voluto, avrei potuto chiedere il distacco temporaneo. Non confidandomi con nessuno, ho preso questa sofferta decisione: lo dovevo fare per me e per la mia famiglia, per essere una buona madre con i miei figli (già ora di figli ne ho due) e per i bambini "degli altri" dovevo trovare una soluzione: quella di allontanarmi per un po' dalla responsabilità della classe. Al momento stavo male e non pensavo alle conseguenze. Mio marito, l'unico che mi ha supportata in questa scelta mi diceva :"Ma sei matta? Hai insegnato da anni, cosa ti succede?”. Ora che mi sono ripresa, mi sono resa conto del coraggio che ho avuto ad affrontare tutto da sola. Sono sempre più convinta, come sostiene Lei, che la professione docente sia una helping profession e che bisognerebbe riconoscere i propri limiti, soprattutto se si hanno momenti di demotivazione nella propria vita e di particolare stress come li ho avuti io. Durante questo distacco mi sono curata e sostengo, come Lei, che nella scuola sono tanti i docenti che magari manifestano sintomi come i miei o ancor più gravi e, poichè non li riconoscono, continuano ad insegnare, pensando che i problemi si risolvano da soli, magari soltanto grazie all’ottenimento di un semplice certificato medico. Ho pertanto lavorato su me stessa ed ora credo fermamente di essere pronta per rientrare in classe, ma non come prima, piuttosto come una "persona nuova".

    Vorrei sapere la sua opinione in merito.

    Gentile Roberta,

    davvero un sentito grazie per la splendida testimonianza assai ricca di spunti. Spero non me ne vorrà se riprenderò alcuni passaggi che possono essere certo utili a quella folta schiera di docenti che non sanno riconoscere, né vogliono ammettere, di essere affetti dal disagio mentale professionale (DMP). Cercherò di seguire il suo ordine narrativo.

    1) Lei scrive a proposito del suo malessere: "Non so cosa abbia influito". Ed è questo infatti il primo nemico da debellare: l’ignoranza. Gli stereotipi sugli insegnanti non affliggono solo “gli altri”, ma gli stessi docenti che non conoscono i rischi professionali tipici delle helping profession. Siamo inoltre così assorti dagli affanni della vita quotidiana da non capire cosa ci fa stare male. In altre parole siamo quasi assuefatti a un disagio di cui ci accorgiamo solo quando diventa intollerabile all’organismo, che reagisce attraverso le ben note somatizzazioni. Si tratta di una dinamica piuttosto comune e più volte collaudata.

    2) Altro spunto importante lo fornisce sostenendo che "Stavo male a casa e nella scuola". E' un'altra grande verità che sta a significare che il malessere non è dovuto all'ambiente (professionale o casalingo) ma è in noi. Questo serva a far riflettere coloro i quali credono di risolvere i propri problemi con un semplice trasferimento di sede.

    3) Il nostro corpo tollera il disagio fino a un certo punto (ecco perché dobbiamo imparare ad ascoltarlo) poi, raggiunta la crisi, parla esplicitamente attraverso le somatizzazioni. Esattamente come ha fatto con lei.

    4) E' assai importante, nel momento del bisogno, disporre di un dirigente comprensivo e preparato sugli strumenti coi quali si affronta il DMP. Primo fra tutti è l’accertamento medico in Collegio Medico di Verifica (CMV), sia esso a richiesta del lavoratore, sia esso d’ufficio. Purtroppo oggi vi è totale ignoranza in proposito: insegnanti e dirigenti non conoscono l’accertamento medico ma, quel che più è grave, è il fatto che l’art. 37 del DL 81/08, che prevede la formazione del lavoratore sull’argomento, viene sistematicamente ignorato.

    5) Un errore tipico della persona in crisi è quello di "non confidarsi con nessuno". La "non condivisione" dei problemi è infatti annoverata tra le cosiddette "reazioni di adattamento negative". Il chiudersi a riccio diviene spontaneo soprattutto se, allo stereotipo sull'insegnante (che lavora poco), si somma lo stigma tipico della patologia mentale.

    6) La situazione diviene poi insostenibile quando "mio marito mi chiede addirittura se sono matta". Ricordo bene quando nel 2005, dopo la presentazione del mio primo libro dal titolo "Scuola di Follia", un'insegnante corse da me urlando che avrebbe comprato il testo per quell'incredulo di suo marito. Questa è la realtà dalla quale si parte: nemmeno la persona che mi vive accanto riesce a capirmi. Ma ancora peggio è quando l’insegnante, oberato/a da stereotipi e stigma, resta isolato e nel disorientamento più assoluti.

    7) "Io dopo questo distacco mi sono curata". Questa decisione ha rappresentato il punto di svolta della sua storia. Purtroppo sono ancora pochi coloro che trovano la forza di rialzarsi per ricostruire la propria vita professionale, con slancio ed entusiasmo, trasformando la sofferenza personale in esperienza per la fortificazione di se stessi. Il più delle volte ho osservato docenti che dopo una inidoneità temporanea sono tornati ad insegnare: ricordo solo insuccessi e ricadute a seguito di ciò. Nel suo caso tuttavia nutro la speranza che questo non accada perché scrive che tornerà a insegnare come “persona nuova”. Quella “vecchia” – in base alla mia esperienza – sarebbe assai probabilmente andata incontro a fallimento.

    Storie come la sua restituiscono fiducia e se solo l'avessi ricevuta un paio di mesi fa, l'avrei inserita volentieri nel mio ultimo libro "Pazzi per la Scuola" (Alpes Italia edizioni): sarà per il prossimo.

    In bocca al lupo e faccia leggere queste righe a ... suo marito (cui vanno i miei saluti).

    www.facebook.com/vittoriolodolo

    * Nomi, luoghi, tempi e alcuni dati del caso trattato sono contraffatti, pur mantenendo inalterato il valore della testimonianza, al fine di tutelare la privacy delle persone.
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0 replies since 1/4/2015, 06:00   14 views
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