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    NASPI indennità di disoccupazione: quando è compatibile con un altro lavoro. Nota INPS




    L’INPS con Messaggio n. 1162 del 16 marzo 2018 fornisce alcuni chiarimenti sull’indennità di disoccupazione NASPI e sulla compatibilità in caso di titolarità di rapporto di lavoro intermittente o nelle ipotesi di rioccupazione come OTD in agricoltura.

    1) Richiesta di NASpI da parte di un lavoratore che, contestualmente al rapporto di lavoro subordinato involontariamente perso, risulti titolare anche di un rapporto di lavoro subordinato di tipo intermittente con indennità di disponibilità o senza indennità di disponibilità.

    Nell’ipotesi in cui il lavoratore – titolare di un rapporto di lavoro subordinato e di un contratto di lavoro intermittente con obbligo di risposta e, quindi, con indennità di disponibilità – faccia richiesta di NASpI a seguito della cessazione del contratto di lavoro subordinato di tipo non intermittente, la domanda può essere accolta, ricorrendo i requisiti previsti dall’articolo 3 del D.Lgs. n. 22 del 2015, a condizione che il lavoratore stesso comunichi all’INPS, entro trenta giorni dalla domanda di prestazione, il reddito annuo presunto derivante dal suddetto contratto di lavoro intermittente, comprensivo della indennità di disponibilità. In tale ipotesi trova applicazione esclusivamente l’istituto del cumulo della prestazione con il suddetto reddito complessivo, che non deve essere superiore al limite annuo di € 8.000, e la prestazione NASpI verrà corrisposta nella misura e secondo le modalità di cui agli articoli 9, comma 2, e 10 del D.Lgs. n. 22 del 2015.

    2) Lavoratore che, dopo aver richiesto la NASpI al termine di un contratto stagionale, viene riassunto dallo stesso datore di lavoro con contratto di lavoro intermittente – con reddito annuale inferiore a quello minimo escluso da imposizione – per le sole giornate in cui risulti necessario ricorrere a ulteriore manodopera.

    In detta ipotesi non trova applicazione l’istituto del cumulo della prestazione NASpI con il reddito derivante da lavoro intermittente in quanto la condizione richiesta dall’articolo, 9 comma 2, del D.lgs. n. 22 del 2015 [1] è che il nuovo datore di lavoro sia diverso dal datore di lavoro per il quale il lavoratore prestava la sua attività quando è cessato il rapporto di lavoro che ha determinato il diritto alla NASpI.

    Qualora, pertanto, il contratto di lavoro intermittente sia di durata pari o inferiore a sei mesi si applica l’istituto della sospensione della prestazione. In particolare, laddove il rapporto di lavoro intermittente sia con obbligo di risposta alla chiamata, e quindi con indennità di disponibilità, la prestazione sarà sospesa per il periodo di durata del rapporto. Qualora invece il rapporto di lavoro intermittente sia senza obbligo di risposta alla chiamata, e quindi senza indennità di disponibilità, la prestazione sarà sospesa per le giornate di effettiva prestazione lavorativa.

    3) Compatibilità della NASpI con il rapporto di lavoro subordinato, anche di tipo intermittente, inizialmente inferiore a sei mesi che, a seguito di proroga, superi il limite semestrale.

    La prestazione viene sospesa d’ufficio, per la durata del rapporto di lavoro. Si precisa che nel caso di rapporto di lavoro subordinato, anche di tipo intermittente con obbligo di risposta e indennità di disponibilità, la sospensione opera per tutta la durata del rapporto di lavoro; nel caso di rapporto di lavoro di tipo intermittente senza obbligo di risposta e senza indennità di disponibilità, la sospensione opera per le giornate di effettiva prestazione lavorativa.

    4) Percettore di NASpI che si rioccupi a tempo determinato come OTD in agricoltura.

    Tale fattispecie rientra nell’ambito della disciplina generale prevista dall’articolo 9 del D.Lgs. n. 22 del 2015.

    Laddove la durata del nuovo rapporto di lavoro subordinato come OTD non superi i sei mesi, l’indennità è sospesa d’ufficio, a prescindere dal reddito che l’interessato ricava dall’attività svolta. Ai fini della determinazione del periodo di sospensione, in linea con quanto previsto per istituti analoghi dalla prassi consolidata [2] e avuto riguardo alla previsione contenuta all’ultimo periodo del comma 1 del citato articolo 9 del D.Lgs. n. 22 del 2015, vanno considerate le sole giornate di effettivo lavoro in agricoltura.

    Nel caso in cui la nuova occupazione come OTD abbia una durata superiore a sei mesi e dalla stessa il percettore NASpI ricavi un reddito inferiore a quello minimo escluso da imposizione, si richiamano le indicazioni contenute al punto 2.10. a.2 della circolare n. 94 del 2015 che, in conformità al disposto normativo, illustrano i criteri e le condizioni per la cumulabilità della prestazione.

    Nel caso, infine, in cui la nuova occupazione come OTD abbia una durata superiore a sei mesi e dalla stessa il percettore NASpI ricavi un reddito superiore a quello minimo escluso da imposizione, si richiamano le indicazioni contenute al punto 2.10. a.1 della circolare n. 94 del 2015 che, in conformità al disposto normativo, prevedono la decadenza dalla prestazione NASpI.

    5) Percettore di NASpI che si rioccupi con contratti di lavoro a tempo determinato che si susseguono senza soluzione di continuità con lo stesso o diverso datore di lavoro

    Si conferma che l’istituto della sospensione della prestazione NASpI, di cui all’articolo 9, comma 1, del D.Lgs. n. 22 del 2015, non può superare il limite di sei mesi.
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    Docente assente per oltre 150 giorni, ecco cosa succede se rientra dopo il 30 aprile




    Di
    Lucio Ficara -
    20/04/2018


    Quali sono le norme che regolano il rientro dopo il 30 aprile del docente assente per più di 90 giorni o addirittura per più di 150 giorni?

    ASSENZE DEI DOCENTI OLTRE I 150 GIORNI E RIENTRO DOPO IL 30 APRILE

    Se dopo una assenza di lungo periodo (superiore ai 5 mesi continuativi) dovuta a motivi di salute o anche per ragioni non legate alla malattia, come ad esempio la conclusione di un periodo di dottorato di ricerca, un docente dovesse rientrare in servizio dopo il 30 aprile, non potrà riprendere servizio nelle proprie classi.
    In mezzo alla notizia

    Infatti in caso di lunghe assenze dei docenti titolari, al fine di tutelare la continuità didattica degli studenti ed in particolare modo quella riferita alle classi terminali, esiste una norma contrattuale che consente di lasciare in servizio il docente supplente, mettendo a disposizione il docente titolare per lo svolgimento di supplenze dei docenti assenti, o anche in interventi didattici integrativi per un numero di ore pari a quello della propria cattedra.

    NORMA CONTRATTUALE PER I CASI DI ASSENZE PROLUNGATE DEI DOCENTI

    La norma contrattuale di riferimento per i casi di assenza dei docenti oltre i 150 giorni e che rientrano dopo il 30 aprile, è l’art.37 del CCNL 2006-2009. In tale articolo si indicano i casi in cui un docente, che rientra in servizio dopo il 30 aprile dopo una lunga assenza, non potrà fare ritorno nelle proprie classi.

    In buona sostanza il personale docente che sia stato assente, con diritto alla conservazione del posto, per un periodo non inferiore a centocinquanta giorni continuativi nell’anno scolastico, ivi compresi i periodi di sospensione dell’attività didattica, e rientri in servizio dopo il 30 aprile, è impiegato nella scuola sede di servizio in supplenze o nello svolgimento di interventi didattici ed educativi integrativi e di altri compiti connessi con il funzionamento della scuola medesima. Per le medesime ragioni di continuità didattica il supplente del titolare che rientra dopo il 30 aprile è mantenuto in servizio per gli scrutini e le valutazioni finali. Il predetto periodo di centocinquanta giorni è ridotto a novanta nel caso di docenti delle classi terminali.

    Questa norma è particolarmente sentita e patita dal personale precario che supplisce docenti lungodegenti o comunque che si assentano per lunghi periodi. Infatti è utile sapere che per giochi di calcolo delle giornate di assenza del titolare, il carattere continuativo del periodo di assenza può essere interrotto, qualora il titolare rientri in servizio per periodi di qualsiasi durata, anche di un solo giorno, ivi inclusi periodi di festività scolastica non compresi nei provvedimenti che danno titolo all’assenza.
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    Come capire se conviene il riscatto della laurea a fini pensionistici. Le info utili


    Di
    Andrea Carlino -
    20/04/2018


    Il riscatto della laurea è un istituto che permette di includere fra la contribuzione utile ai fini pensionistici il periodo del corso di studi (post diploma) a pagamento e a determinate condizioni.

    Considerando che, tra laurea triennale e specialistica, il periodo di permanenza presso un ateneo è di cinque anni, poter inserire i periodi di studio nel proprio fascicolo previdenziale rappresenta un vantaggio non trascurabile.

    Il costo – importante ricordarlo – è legato alla retribuzione in essere al momento della domanda.
    In mezzo alla notizia

    Il servizio è rivolto a tutti coloro che abbiano conseguito il diploma di laurea o titolo equiparato.

    Tutto ciò – ricorda l’Inps – a condizione che gli anni del corso di laurea non siano già coperti da altri contributi, ad esempio da lavoro, è possibile trasformarli in anni di contribuzione pagando una certa somma, chiedendone appunto il cosiddetto riscatto.

    La facoltà è esercitabile anche dai soggetti inoccupati che, al momento della domanda, non risultino essere stati mai iscritti ad alcuna forma obbligatoria di previdenza e che non abbiano iniziato l’attività lavorativa in Italia o all’estero.
    A chi conviene

    Consigliabile a quei lavoratori a cui mancano pochi anni di contributi per raggiungere i requisiti per la pensione di vecchiaia. Ai giovani, invece, conviene fare una valutazione più attenta tra costi e benefici. I giovani, però, possono valutare se utilizzare la possibilità del riscatto a basso costo.
    Il riscatto a basso costo per i giovani

    Il riscatto a basso costo è riservato ai laureati che non abbiano ancora trovato lavoro. In questo caso il riscatto viene pagato dai genitori ed è molto conveniente.

    La somma da versare viene in genere basata suklo stipendio di chi lo richiede ma, per i disoccupati, l’Inps si affida al cosiddetto reddito minimale, fissato per legge a 15.548 euro.

    Secondo le elaborazioni dell’Inps, riscattare 4 anni di studi costa circa 20.500 euro (ad esempio un 40enne con 36 mila euro all’anno di reddito dovrebbe versare 52.000 euro).

    Il riscatto può essere pagato in 10 anni senza interessi, con rate da 170 euro al mese.

    I contributi versati si possono portare in detrazione nel 730. Se a pagare il riscatto è un genitore per il figlio a carico, si avrà diritto a uno sconto fiscale sull’Irpef del 19%.
    Come funziona

    L’Inps, con una guida sul proprio sito, spiega passo dopo passo come fare.

    Si possono riscattare gli anni del corso legale di laurea, i diplomi universitari, quelli di specializzazione e i dottorati di ricerca. Se il titolo di studio ha valore legale in Italia, si può riscattare anche la laurea conseguita all’estero. A particolari condizioni, è possibile riscattare anche i diplomi rilasciati dagli istituti di alta formazione artistica e musicale.

    Il riscatto, inoltre, può riguardare tutto il periodo del corso di studio o solo parte di esso e si possono riscattare anche due o più corsi. E questi anni di contribuzione andranno ad aggiungersi a quelli che deriveranno dalla successiva attività lavorativa, concorrendo a determinare l’ammontare della propria pensione.

    I periodi che non danno possibilità di riscatto sono:

    quelli di iscrizione fuori corso;
    o quelli già coperti da contribuzione obbligatoria o figurativa o da riscatto che sia non solo presso il fondo cui è diretta la domanda stessa, ma anche negli altri regimi previdenziali richiamati dall’articolo 2, comma 1, decreto legislativo 30 aprile 1997, n. 184 (Fondo Pensioni Lavoratori Dipendenti e gestioni speciali del Fondo stesso per i lavoratori autonomi e fondi sostitutivi ed esclusivi dell’Assicurazione Generale Obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti e gestione di cui all’articolo 2, comma 26, legge 8 agosto 1995, n. 335).

    Si possono invece riscattare:

    i diplomi universitari, i cui corsi non siano stati di durata inferiore a due e superiore a tre anni;
    i diplomi di laurea i cui corsi non siano stati di durata inferiore a quattro e superiore a sei anni;
    i diplomi di specializzazione conseguiti successivamente alla laurea e al termine di un corso di durata non inferiore a due anni;
    i dottorati di ricerca i cui corsi sono regolati da specifiche disposizioni di legge;
    i titoli accademici introdotti dal decreto 3 novembre 1999, n. 509 ovvero Laurea (L), al termine di un corso di durata triennale e Laurea Specialistica (LS), al termine di un corso di durata biennale propedeutico alla laurea.

    Il riscatto può riguardare l’intero o i singoli periodi.

    Dal 12 luglio 1997 è possibile riscattare due o più corsi di laurea, anche per i titoli conseguiti anteriormente a questa data. Non è possibile chiedere la rinuncia o la revoca della contribuzione da riscatto di laurea legittimamente accreditata a seguito del pagamento del relativo onere (messaggio 8 ottobre 2008, n. 22427).

    Il contributo è versato all’INPS in apposita evidenza contabile separata del Fondo Pensione Lavoratori Dipendenti (FPLD) e viene rivalutato secondo le regole del sistema contributivo, con riferimento alla data della domanda.

    Il cumulo è gratuito per tutti gli iscritti presso 2 o più forme di assicurazione obbligatoria dei lavoratori dipendenti, autonomi e degli iscritti alla gestione separata e alle forme sostitutive ed esclusive della medesima, in modo che possano conseguire un’unica pensione.
    I requisiti

    I requisiti necessari per il riscatto di laurea sono i seguenti:

    aver conseguito il diploma di laurea o titoli equiparati;
    i periodi per i quali si chiede il riscatto non devono essere coperti da contribuzione obbligatoria o figurativa o da riscatto non solo presso il fondo cui è diretta la domanda stessa ma anche negli altri regimi previdenziali richiamati dall’articolo 2, comma 1, decreto legislativo 30 aprile 1997, n. 184;
    essere titolari di contribuzione (almeno un contributo obbligatorio) nell’ordinamento pensionistico in cui viene richiesto il riscatto, salvo quanto previsto dalla legge 24 dicembre 2007, n. 247 per le domande presentate a decorrere dal 1° gennaio 2008.

    Il riscatto di laurea richiesto da soggetti inoccupati

    Il riscatto di laurea richiesto da soggetti inoccupati può essere esercitato dunque dai soggetti non iscritti ad alcuna forma obbligatoria di previdenza che non abbiano iniziato l’attività lavorativa in Italia o all’estero.
    La facoltà (circolare 11 marzo 2008, n. 29) è esercitabile da coloro che, al momento della domanda, non risultino essere stati mai iscritti ad alcuna forma obbligatoria di previdenza, inclusa la Gestione Separata di cui all’articolo 2, comma 26, legge 8 agosto 1995, n. 335 e che non abbiano iniziato l’attività lavorativa, in Italia o all’estero (messaggio 9 marzo 2009, n. 5529).
    Quanto costa il riscatto della laurea

    Per il costo, occorre tener presente che non esiste una cifra fissa da pagare ma che l’importo varia in base al reddito del lavoratore.

    Il calcolo del riscatto della laurea è individuato dall’Inps sulla base della retribuzione media pensionabile riferita alla data della domanda, del periodo da riscattare, dell’età e del sesso del richiedente. L’ammontare determinato può essere pagato in unica soluzione o fino a 120 rate mensili senza interessi.

    Se i periodi da riscattare sono anteriori al 1 gennaio 1996 il calcolo del riscatto della laurea è quantificato da particolari tabelle che tengono conto dell’età, il sesso, la posizione assicurativa e retributiva e la durata dei periodi da riscattare.

    Se si tratta del riscatto di anni di laurea posteriori al 1 gennaio 1996 il calcolo è determinato sulla base dell’aliquota contributiva (per la maggior parte dei lavoratori dipendenti l’aliquota è pari al 33%) applicata alla retribuzione lorda del richiedente, moltiplicata per il numero degli anni di cui si chiede il riscatto.

    Per calcolare il valore del riscatto e dell’importo della rata annuale (clicca qui)

    Il pagamento può avvenire in un’unica soluzione oppure in 120 rate spalmate in 10 anni, senza interessi. Su richiesta il numero di rate può essere diminuito per estinguere in minor tempo il debito. È possibile pagare tramite bollettini Mav, online sul sito Inps, presso il Circuito Reti Amiche, con addebito su conto bancario.

    Il mancato pagamento della prima rata o della rata in un’unica soluzione viene considerato come rinuncia alla domanda. Il pagamento in ritardo delle rate, non oltre i 30 giorni successivi, è consentito solo per 5 volte, pena il decadimento della domanda.
    Come fare la domanda

    Il cittadino laureato deve presentare la domanda di riscatto online all’INPS attraverso il servizio dedicato. Per maggiori informazioni si rinvia alla circolare 27 maggio 2011, n. 77.

    Il pagamento dell’onere si effettua utilizzando gli appositi bollettini MAV inviati dall’INPS con il provvedimento di accoglimento. I bollettini possono essere pagati presso qualsiasi sportello bancario senza costi aggiuntivi e presso tutti gli uffici postali, pagando la commissione postale vigente.

    www.inps.it/nuovoportaleinps/default.aspx?itemdir=50145


    www.enpaf.it/calcolo-rata-riscatto-laurea?jjj=1518003278830
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    Concorso a cattedra 2016, in 60.000 attendono ancora il ruolo: cosa farà la politica?




    Il Coordinamento Nazionale Vincitori Concorso Scuola 2016 (CoNaVinCoS), esprime il proprio disappunto per l’autorizzazione di sole 3.530 cattedre (poco più della metà rispetto alle circa 6000 – 18.000 in tre anni – dichiarate a gennaio) che saranno trasformate da organico di fatto in organico di diritto.

    Il paventato (e ulteriore) drastico taglio delle assunzioni per il prossimo anno scolastico (derivante anche dai fondi di circa 50 milioni di Euro che il MEF ha erogato al MIUR per le scuole paritarie, invece di investirlo nel reclutamento della classe docente nella Scuola Statale) – scrive il Coordinamento – è oltremodo lesivo delle legittime possibilità di immissione in ruolo dei vincitori di concorso, già compromesse dalle procedure ordinarie di mobilità interregionale e, a maggior ragione, dalle mobilità straordinarie disposte per calmierare la situazione delle assunzioni fuori Regione da fase B e C delle assunzioni effettuate dalla “buona scuola” e conseguenti ricorsi giudiziali sfavorevoli che ha visto soccombente il MIUR.

    Occorre – prosegue il Coordinamento – contrastare il disegno riformista che ha prodotto gli effetti devastanti nella Scuola pubblica per l’incapacità di elaborare un chiaro e credibile programma, anche temporale, per assicurare la legittima assunzione dei tanti – anzi troppi – residuati delle graduatorie di merito del concorso 2016, nonché degli idonei (si tratta, infatti, di circa 60.000 docenti).

    A tale situazione, sottolinea il Coordinamento, dovrà aggiungersi il graduale esaurimento delle future GMRA (che inizieranno a formarsi con la fase transitoria relativa al concorso riservato agli abilitati).
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    Ora alternativa Religione cattolica, può essere considerata come servizio valido per ricostruzione carriera?




    di Avv. Marco Barone


    Quella dell’ora di alternativa è, da quando esiste, una questione soggetta a plurimi contenziosi con una giurisprudenza sempre oscillante. Vediamo alcune casistiche in materia.

    Come andrebbe considerato il servizio sull’ora di alternativa? Per il TAR Lazio Sez. III quater Sent., 09/06/2008, n. 5628 “Lo svolgimento per gli alunni che non si avvalgono dell’insegnamento delle attività alternative alla religione cattolica, non corrisponde infatti né a posti di ruolo né ad una individuata classe di concorso, è specificamente caratterizzata dal fatto che esse non hanno per oggetto materie curricolari e non concernono un insegnamento “unitario”. Per il TAR Molise Campobasso Sez. I, 08/07/2009, n. 600 “Nel vigente ordinamento non sono previsti posti di ruolo o classi di concorso per l’insegnamento della religione cattolica o delle attività alternative alla religione cattolica, di guisa che tale insegnamento non può ritenersi utile come requisito di servizio, ai fini dell’ammissione alla sessione riservata per il conseguimento dell’abilitazione o della idoneità richiesta nella scuola materna, nella scuola elementare e negli istituti e scuole di istruzione secondaria e artistica. “ Oppure: “ L’insegnamento, svolto nell’ora alternativa alla religione, non è computabile nel servizio di 360 giorni d’insegnamento, richiesto dall’art. 2 comma 10 lett. b) del d.l. 6 novembre 1989 n. 357, conv. nella l. 27 dicembre 1989 n. 417, per la partecipazione ai concorsi per soli titoli a cattedre d’insegnamento nelle scuole secondarie. T.A.R. Lombardia Brescia, 08/10/1994, n. 5”.

    Così la giustizia amministrativa. Quella ordinaria, invece, rileva che il servizio di insegnamento espletato nell’ambito di attività alternative alla religione cattolica può essere riconosciuto come servizio pre-ruolo ai fini della ricostruzione della carriera di un insegnante di ruolo per le materie letterarie della scuola media statale (nella specie, la Cassazione ha ritenuto che una professoressa laureata in lettere ed abilitata all’insegnamento di materie letterarie potesse ritenersi in possesso di “titolo di studio prescritto” per l’insegnamento dell'”educazione civica”, insegnamento in concreto affidatole per i ragazzi che avevano optato per l’alternativa all’insegnamento della religione). Cass. civ. Sez. lavoro, 28/03/2012, n. 4961”.

    Agli effetti del riconoscimento del servizio prestato dal personale docente delle scuole statali prima della nomina in ruolo, l’art.1 del d.l. n. 370 del 1970, conv. in legge n. 576 del 1970, non pone un elenco tassativo di insegnamenti ammessi al beneficio, ma detta una previsione generale, individuando alcuni requisiti (prestazione didattica non di ruolo in scuole statali o pareggiate, qualifica non inferiore a “buono”, o comunque assenza di demerito, successiva assunzione in ruolo, superamento del periodo di prova) in presenza dei quali il servizio pre-ruolo, ai sensi dell’art. 3, è riconosciuto come servizio di ruolo se prestato col possesso del titolo di studio prescritto.

    Ne consegue che, ove sussistano le condizioni di legge, il riconoscimento del servizio pre-ruolo compete anche per l’insegnamento delle attività alternative alla religione cattolica, non ostando che esso sia stato introdotto nel 1986, successivamente all’emanazione del d.l. n. 370 cit., giacchè l’art. 485 del d.lgs. n. 297 del 1994, nel recepire la normativa anteriore, non ha escluso che detto insegnamento possa costituire servizio pre-ruolo utile ai fini della ricostruzione della carriera. (Cassa e decide nel merito, App. Brescia, 13/09/2008) Cass. civ. Sez. lavoro, 28/03/2012, n. 4961 (rv. 621647)”
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    Concorso docenti abilitati, quante domande per la tua classe di concorso in ogni regione




    Disponibile la tabella che suddivide per ogni regione, il numero dei partecipanti per classe di concorso o posto di sostegno.

    Come già detto, i numeri più rilevanti sono per il Sostegno Scuola secondaria superiore e A046 Scienze Giuridico Economiche.

    Ricordiamo che i partecipanti sosterranno una prova orale di natura metodologico didattico non selettiva. Il voto della prova unito a quello dei titoli servirà per formare la graduatoria di merito regionale dalla quale, all’esaurirsi di GaE e GM concorso 2016, sarà possibile assumere per la partecipazione al 3° del FIT (Formazione e Tirocinio), superato il quale il docente diventerà a tutti gli effetti a tempo indeterminato.

    I docenti riceveranno l’email di convocazione, con l’indicazione del giorno e della sede, almeno venti giorni prima rispetto alla prova.

    Scarica le tabelle
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    Decremento popolazione scolastica e organici, lo studio completo della Fondazione Agnelli



    ANALISI DALL' A.S. 2017/18 ALL' A.S. 2027/28



    Nei giorni scorsi, abbiamo riferito sull’approfondimento della Fondazione Agnelli, a partire dai dati Istat, riguardante l’evoluzione della popolazione scolastica e da cui è emerso che tra 10 anni vi sarà un diminuzione di studenti pari a un milione e conseguentemente vi saranno 55 mila cattedre in meno.

    Organici, tra 10 anni 55 mila cattedre in meno. Fondazione Agnelli, ci sarà un calo di un milione di studenti

    Pubblichiamo adesso l’intero approfondimento, in cui sono riportati tutti i dati relativi a:

    popolazione scolastica della scuola dell’infanzia;
    popolazione scolastica della scuola primaria;
    popolazione scolastica della scuola secondaria di primo e secondo grado;
    singole regioni e diversi gradi di istruzione, infanzia compresa;
    classi in meno;
    effetti sugli organici.

    Approfondimento Fondazione Agnelli
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    Graduatoria interna d’istituto: come calcolare servizio, continuità, titoli ed esigenze familiari. Modelli di domanda. La guida gratuita


    di Paolo Pizzo


    Pubblichiamo due guide rivolte a docenti, dirigenti e segreterie scolastiche relativamente alla valutazione delle graduatorie interne d’istituto.

    Criteri per l’individuazione del perdente posto, come calcolare: il servizio pre ruolo, il servizio svolto in altro ruolo, la continuità del servizio (scuola e comune), le esigenze di famiglie.

    Si tratta di un vademecum di 31 pagine che analizzano tutti gli aspetti relativi al servizio e alle esigenze di famiglia, cosa devono fare i dirigenti, cosa i docenti, cosa le segreterie. Scarica la guida

    Attribuzione dei punteggi per: anzianità di servizio, esigenze di famiglia e titoli.

    Tutto ciò che c’è da sapere su titoli, anzianità ed esigenze di famiglia. Scarica la guida

    I modelli di domanda elaborati per ordine e grado di scuola

    MODELLO INFANZIA 2018

    MODELLO PRIMARIA 2018

    MODELLO I GRADO 2018

    MODELLO II GRADO 2018
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    Concorso docenti abilitati, ecco regione in cui svolgeranno prova orale classi di concorso con pochi candidati


    Il bando di concorso, riservato ai docenti abilitati della scuola secondaria di primo e secondo grado, com’è noto, prevede l’aggregazione territoriale per quelle classi di concorso con un esiguo numero di partecipanti.

    AGGREGAZIONI TERRITORIALI

    Come largamente anticipato, la pubblicazione delle classi di concorso e della relativa regione di aggregazione territoriale era prevista per la giornata di oggi 13 aprile.

    La tempistica è stata rispettata con la pubblicazione del relativo Avviso in Gazzetta Ufficiale.

    L’Avviso contiene due allegati:

    nell’allegato 1 vengono riportate, distintamente per classi di concorso/posti di sostegno, tutte le procedure che non hanno avuto aggregazioni territoriali;
    nell’allegato 2 sono riportate le aggregazioni territoriali, ossia le procedure distinte per classi di concorso o tipologia di posto che sono state aggregate, per l’esiguita’ delle domande, a regione diversa da quella indicata nella domanda di partecipazione.

    GESTIONE PROCEDURA

    La gestione della procedura, dall’organizzazione e svolgimento della prova orale all’approvazione della graduatoria di merito, è di competenza dell’USR in cui si svolge la prova.

    Avviso

    Aggregazioni
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    Rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori over 50 della scuola




    Di
    Aldo Domenico Ficara -
    11/04/2018


    Il Dlgs 81/2008 prevede che la valutazione dei rischi debba riguardare tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, ivi compresi quelli connessi all’età. Nella scuola l’età media del personale supera di gran lunga i 50 anni, e anche se la grande maggioranza degli over 50 gode di buona salute fisica e mentale, bisogna tener conto, più che della salute, delle “capacità di svolgere il lavoro che cambia con l’età”.

    A tal riguardo esistono studi e pubblicazioni in cui sono messi a fuoco i cambiamenti fisiologici legati all’invecchiamento, riguardanti i sistemi cardiovascolare e muscolo-scheletrico e i cambiamenti nelle capacità visive per gli addetti ai video terminali.

    Pertanto per una gestione attiva del fattore età e per la creazione di un ambiente favorevole al prolungamento della vita lavorativa all’interno del sistema scuola si deve tener conto dei seguenti fattori:
    In mezzo alla notizia

    Sensibilizzazione a livello scolastico sul tema dell’età
    Ergonomia e buone condizioni di sicurezza sul lavoro
    Miglioramento dell’ambiente, delle attrezzature e dei metodi di lavoro
    Periodicità della sorveglianza sanitaria
    Modifiche e/o riduzioni di orario
    Informazione e formazione continua
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    Sicurezza in aula: come un docente può segnalarli al dirigente. Il modulo




    di Natalia Carpanzano


    Una procedura per la segnalazione di un possibile rischio inerente la sicurezza di un edificio scolastico, ravvisato da un docente o dal personale ATA, è opportuno che venga definita e applicata in maniera certosina in tutti i plessi dell’Istituto.

    Una procedura di questo genere ha lo scopo di garantire che a fronte di una non conformità rilevata in materia di sicurezza, la scuola sia in grado di attivare dei canali efficaci di comunicazione interna per una corretta gestione dei rischi emersi.

    Ma cosa deve fare in pratica un docente o un collaboratore che si accorga di una possibile situazione di rischio ad esempio in un’aula o in un corridoio?

    La procedura da seguire in questi casi è la seguente:

    chiunque individui un pericolo o un guasto deve segnalarlo compilando il modulo fornito dall’Istituto Scolastico (se ne fornisce una bozza)
    il modulo compilato deve essere trasmesso al preposto per la sicurezza del plesso o della sede, o direttamente al Dirigente Scolastico
    il Dirigente Scolastico invierà ai soggetti di competenza le richieste di intervento
    la realizzazione degli interventi richiesti dovrà essere verificata

    Ovviamente tale procedura è applicabile se la non conformità rilevata non rappresenti un pericolo grave ed immediato, come ad esempio il distacco di calcinacci da un tetto o una fuga di gas. In questo caso il docente o il collaboratore che ravvisino il rischio elevato, devono mettere il sicurezza gli alunni ed il personale presente (per esempio facendo evacuare coloro che sono presenti nell’area interessata) e successivamente contattare il preposto di plesso alla sicurezza che provvederà ad attivare la catena di interventi urgenti necessaria (per esempio chiamando i Vigili del Fuoco).

    Scarica il modulo
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    I maniglioni antipanico nelle vie di fuga delle scuole


    Di
    Aldo Domenico Ficara -
    10/04/2018


    I maniglioni antipanico sono essenziali per predisporre una corretta via di fuga e rientrano nella normativa antincendio con lo scopo di preservare la sicurezza dei lavoratori soprattutto in ambienti ad alto affollamento.

    La loro installazione però è obbligatoria solo nel caso in cui sussistano determinate caratteristiche, come stabilito dall’art 3 del Dm 3 novembre 2004 che definisce i criteri da seguire per la scelta dei dispositivi di apertura delle porte. Se da installare, tali dispositivi devono essere conformi alle norme UNI EN 179 o UNI EN 1125 e ai sensi del D.P.R. 21 aprile 1993, n. 246, devono essere muniti di marcatura CE.

    Si ricorda che entro il 16 febbraio 2013 dovevano essere sostituiti i dispositivi non marcati CE per l’apertura delle porte installate lungo le vie di esodo nell’ambito delle misure atte a garantire la sicurezza in caso d’incendio, soggette al controllo dei Vigili del Fuoco ai fini del rilascio del Certificato di Prevenzione incendi.
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    Carte indicative di localizzazione ambiti territoriali



    Si rendono di seguito disponibili le carte che indicativamente mostrano la disposizione degli ambiti territoriali all’interno della regione e delle diverse province.

    Carta ambiti intero Piemonte: AmbitiPiemonte.pdf (3Mb)

    Carta dettaglio città metropolitana di Torino: AmbitiCittMetrTO.pdf (3Mb)

    Carta dettaglio Torino e cintura: AmbitiTorino.pdf (1Mb)

    Edited by redrose - 10/4/2018, 17:09
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    Pensioni, requisiti per quella anticipata dal 1° gennaio 2019




    L’INPS con circolare n. 62 del 4 aprile 2018 ha fornito una sintesi delle prospettive di pensionamento, dopo l’adeguamento dei requisiti di accesso al pensionamento agli incrementi della speranza di vita.

    Se per la pensione di anzianità dal 1° gennaio 2019 bisognerà attendere l’età di 67 anni, vediamo invece quali sono i requisiti per la pensione anticipata.

    PENSIONE ANTICIPATA

    Dunque il requisito di contribuzione utile per andare in pensione con anticipo sarà di 41 anni e cinque mesi per i lavoratori “precoci” (che hanno iniziato a lavorare prima del compimento dei 19 anni). In parrticolare l’INPS con messaggio n. 1481 del 4 aprile 2018 ha fornito chiarimenti su

    condizioni per l’accesso ai benefici dell’APE sociale e della pensione anticipata per i lavoratori c.d. precoci.

    Per gli altri lavoratori l’accesso alla pensione anticipata spetterà con 43 anni e tre mesi per gli uomini, 42 anni e tre mesi per le donne. Con una primo accredito contributivo dal 1° gennaio 1996, l’accesso si perfezionerà a 64 anni, purché ci siano venti anni di contribuzione effettiva.

    La circolare INPS n. 62 del 4 aprile 2018

    Pensioni, i requisiti. A 67 anni dal 1° gennaio 2019, la nota INPS con tabelle
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    Visite fiscali. Polo unico: orari reperibilità, certificati cartacei, infortunio sul lavoro. Sintesi nuove disposizioni




    L’INPS con Messaggio n. 1399 del 29 marzo 2018 fornisce un riepilogo delle disposizioni di legge vigenti in materia e delle istruzioni operative diramate, rammentando che la normativa istitutiva del Polo Unico per le visite fiscali ha attribuito all’Istituto una nuova competenza sui controlli della malattia dei dipendenti del settore pubblico, lasciando invariata la preesistente competenza sui controlli della malattia dei lavoratori privati che non è stata modificata, né ampliata.

    MALATTIA DEL LAVORATORE

    La normativa del Polo Unico si riferisce espressamente al controllo sugli eventi di malattia comune dei lavoratori e non riguarda in alcun modo altre fattispecie di assenza dei lavoratori medesimi (malattia figlio, interdizione anticipata per gravidanza, inidoneità temporanea a mansione – accertata dalla Commissione Medica Ospedaliera (CMO) operante presso le Autorità sanitarie locali o da commissioni di seconda istanza, accertamento sanitario per incapacità temporanea a testimoniare o per altri scopi connessi con il procedimento giudiziario, ecc.).

    Il datore di lavoro pubblico non deve più richiedere la visita ambulatoriale nel caso in cui il lavoratore venga trovato assente in occasione dell’accertamento medico legale domiciliare. In tali ipotesi, infatti, l’accertamento ambulatoriale viene disposto d’ufficio al fine di consentire la verifica dell’effettiva sussistenza dello stato morboso (cfr. messaggio n. 4282/2017). Ciò per completare adeguatamente il processo di verifica delle assenze per malattia del dipendente pubblico, alla luce dell’attuale normativa che attribuisce all’Inps la competenza esclusiva in materia.

    Le visite mediche di controllo, come noto, vengono disposte anche d’ufficio dall’Istituto sulla base delle proprie valutazioni effettuate mediante l’ausilio delle procedure informatiche.

    Come già comunicato con il messaggio n. 137/2018, gli applicativi in uso presso l’Istituto sono stati, infatti, adattati al fine di acquisire i dati dei certificati telematici dei dipendenti pubblici e disporre un numero prestabilito di visite d’ufficio. È consentita ai datori di lavoro pubblici, tramite il sito web dell’Inps, la visualizzazione degli esiti sia delle visite richieste tramite Portale sia di quelle d’ufficio eventualmente effettuate nei confronti dei propri dipendenti.

    CERTIFICATI CARTACEI

    Eventuali certificati cartacei di malattia dei lavoratori pubblici non devono essere trasmessi all’Inps, ma unicamente al proprio datore di lavoro pubblico cui competono, per espressa previsione normativa (art. 55-septies, comma 1, del D.Lgs. n. 165/2001) i controlli circa la loro validità. Con riguardo, invece, alla documentazione relativa all’assenza del lavoratore a visita medica di controllo domiciliare, è già stato precisato con il messaggio n. 4282/2017 che la stessa può essere prodotta all’Inps in occasione della visita medica ambulatoriale (o spedita, se nel frattempo vi è stato il rientro al lavoro) per consentire, se di tipo sanitario, la valutazione tecnica a cura degli Uffici medico legali dell’Istituto.

    FASCE ORARIE DI REPERIBILITA‘

    L’articolo 3, commi 1 e 2, del decreto 17 ottobre 2017, n. 206, ha confermato le vigenti fasce orarie di reperibilità per i dipendenti delle Pubbliche Amministrazioni che rimangono fissate nei seguenti orari: dalle 9 alle 13 e dalle 15 alle 18. Si ricorda che l’obbligo di reperibilità sussiste anche nei giorni non lavorativi e festivi.

    Come previsto dalla normativa vigente, il dipendente pubblico è tenuto, qualora debba assentarsi dal proprio domicilio (ad esempio, per visita medica o altri giustificati motivi), ad avvisare unicamente la propria amministrazione, la quale provvede a trasmettere l’informazione all’Inps.
    La tempestività delle comunicazioni da parte delle PP.AA. è essenziale per agevolare le Strutture territoriali Inps nella trattazione delle informazioni, soprattutto al fine di escludere la visita in considerazione della comunicazione di assenza. Va comunque tenuto in conto che la copiosità delle informazioni e la necessità di operare manualmente le esclusioni delle visite, in attesa dei programmati sviluppi informatici, potrebbe rendere talvolta difficile registrare per tempo tutte le assenze temporanee e i cambi di domicilio in questione.

    INFORTUNIO SUL LAVORO E MALATTIA PROFESSIONALE

    L’Istituto non effettua accertamenti domiciliari medico legali richiesti dai datori di lavoro per i casi di infortunio sul lavoro e malattia professionale di competenza esclusiva dell’Inail, ai sensi dell’articolo 12 della legge n. 67/1988. In tal senso si è anche recentemente espresso il Dipartimento per la semplificazione e la Pubblica Amministrazione.

    Come già precisato, il D.Lgs. n. 75/2017 – modificativo dell’articolo 55-septies del D.Lgs. n. 165/2001, relativo ai controlli sulle assenze per malattia generica – non contiene alcun riferimento all’infortunio sul lavoro e alla malattia professionale, che restano pertanto esclusi dalla competenza dell’Istituto.

    L’eventuale diritto del datore di lavoro di richiedere, anche nei casi suddetti, i controlli di cui all’articolo 5, comma 2, della legge n. 300/1970, sebbene più volte trattato con interpretazioni diverse nel corso del tempo (cfr. ad esempio le sentenze della Corte di Cassazione n. 1247/2002, n. 15773/2002 e n. 25650/2017) non è mai stato oggetto di specifiche disposizioni normative.

    Anche il citato decreto 17 ottobre 2017, n. 206, nell’individuare le modalità per lo svolgimento delle visite fiscali e le fasce di reperibilità con riferimento alla malattia comune, non ha indicato, tra le possibili fattispecie di esonero per il lavoratore dall’obbligo di rispetto delle suddette fasce orarie, gli eventi di infortunio sul lavoro/malattia professionale che, in conformità a quanto previsto dal citato decreto, esulano dall’ambito di competenza dell’Istituto.

    LAVORATORI ALL’ESTERO

    Con riferimento alle visite mediche di controllo richieste dalle PP.AA. nei confronti di lavoratori che si ammalano durante temporanei soggiorni all’estero, l’Istituto ritiene di non poter effettuare visite mediche di controllo domiciliari. Infatti l’articolo 18, comma 1, lett. c) del D.Lgs. n. 75/2017 prevede espressamente che gli accertamenti medico-legali sui dipendenti assenti dal servizio per malattia siano effettuati sul territorio nazionale.
    Al riguardo, comunque, anche a fronte delle diverse richieste pervenute dalle PP.AA., è stato chiesto ai Ministeri competenti un parere per le valutazioni nel merito.

    Il messaggio del 29 marzo 2018
9593 replies since 8/3/2013
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