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    Pensioni, così crescerà l'età pensionabile nel biennio 2019-2020



    Giovedì, 05 Aprile 2018 07:45
    Scritto da Paolo Ferri
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    L'Inps spiega le novità che entreranno in vigore dal prossimo 1° gennaio 2019 per effetto del terzo adeguamento comunicato dall'Istat alla fine dello scorso anno. Per il biennio 2019-2020 si dovrà lavorare 5 mesi in piu'.

    L'Inps certifica lo slittamento dell'età pensionabile nel prossimo biennio per effetto della speranza di vita. La Circolare 62/2018 pubblicata ieri dall'Istituto di Previdenza rivede al rialzo tutti i requisiti per conseguire la pensione per i lavoratori iscritti alla previdenza pubblica obbligatoria in sintonia con quanto previsto dal decreto del Ministero del Lavoro di concerto con quello dell'Economia dello scorso 5 dicembre 2017. Si tratta del terzo adeguamento dall'entrata in vigore della Legge Fornero, il più intenso di tutti, pari a cinque mesi che scatteranno dal prossimo anno. L'adeguamento interesserà tutti i requisiti per il conseguimento delle prestazioni pensionistiche, in particolare la pensione anticipata e la pensione di vecchiaia.

    I nuovi requisiti

    Dal 1° gennaio 2019, dunque, per la pensione anticipata sarà necessario perfezionare 43 anni e 3 mesi di contributi per gli uomini e 42 anni e 3 mesi di contributi per donne pari, rispettivamente, a 2249 settimane e a 2197 settimane di versamenti, contro i 42 anni e 10 mesi e 41 anni e 10 mesi previsti attualmente. L'adeguamento coinvolgerà anche i cd. lavoratori precoci di cui all'articolo 1, co. 199 della legge 232/2016: costoro dovranno raggiungere 41 anni e 5 mesi di contributi (2154 settimane) dai 41 anni tondi attuali. Per la pensione di vecchiaia, fermo restando un minimo di 20 anni di contributi, occorrerà perfezionare 67 anni di età sia per gli uomini che per le donne dagli attuali 66 anni e 7 mesi attuali (si veda grafica sottostante).

    L'adeguamento alla speranza di vita colpisce le prestazioni previdenziali dei contributivi puri, cioè di quei soggetti privi di anzianità contributiva al 31 dicembre 1995. Ad esempio il requisito anagrafico per la prestazione anticipata per gli assicurati in possesso di almeno 20 anni di contribuzione effettiva passerà da 63 anni e 7 mesi a 64 anni e da 70 anni e 7 mesi a 71 anni per la vecchiaia contributiva.

    Crescono pure i requisiti per accedere alla totalizzazione nazionale di cui al Dlgs 42/2006). Dal 2019 bisognerà raggiungere 41 anni di contributi (per l'accesso indipendentemente dall'età anagrafica, totalizzazione di anzianita') oppure 66 anni per la prestazione di vecchiaia. Resta fermo il criterio delle finestre mobili pari a 21 mesi per la totalizzazione di anzianità e di 18 mesi per quella di vecchiaia.

    Lo slittamento di 5 mesi influenzerà anche la data di ingresso alla pensione per il comparto difesa e sicurezza e per i comparti per i quali sono attualmente previsti requisiti previdenziali diversi da quelli vigenti nell'AGO, appena esposti (si pensi ad esempio agli ex-enpals e agli autoferrotranvieri). Naturalmente sono soggetti agli adeguamenti anche i lavoratori cd. salvaguardati ma in tal caso la normativa sulla quale applicare i 5 mesi di slittamento è quella ante-fornero. L'adeguamento dal 2019 coinvolgerà pure i requisiti per il conseguimento dell'assegno sociale che slitterà dagli attuali 66 anni e 7 mesi a 67 anni.
    Gli esentati

    Non ci sono novità, invece, per i lavori usuranti. Com'è noto nei loro confronti si applica ancora il previgente sistema delle quote di cui alla Tabella B allegata alla legge 23 agosto 2004, n. 243. E la legge di bilancio per il 2017 ha congelato l'applicazione degli adeguamenti sino al 2026. Questi assicurati, pertanto, anche nel biennio 2019-2020 dovranno perfezionare 61 anni e 7 mesi di età anagrafica con il contestuale raggiungimento del quorum 97,6 con un minimo di 35 anni di contributi. L'Inps non lo dice nel documento ma occorre segnalare che, per effetto dell'ultima legge di bilancio (legge 205/2017), saranno dispensati dal prossimo adeguamento pure le 15 categorie dei lavori addetti alle mansioni gravose a condizione che abbiano maturato almeno 30 anni di contribuzione e che abbiano svolto l'attività gravosa per almeno sette anni negli ultimi dieci prima del pensionamento (qui ulteriori dettagli). Al riguardo si attendono ulteriori indicazioni da parte dell'Inps.

    I prossimi adeguamenti

    L'Inps spiega, infine, che per effetto delle modifiche apportate dalla legge di bilancio per il 2018 la variazione della speranza di vita relativa al biennio 2021-2022 sarà computata in misura pari alla differenza tra la media dei valori registrati nel biennio 2017-2018 e il valore registrato nell’anno 2016. A decorrere dal 2023, la variazione della speranza di vita relativa al biennio di riferimento sarà computata in misura pari alla differenza tra la media dei valori registrati nei singoli anni del biennio medesimo e la media dei valori registrati nei singoli anni del biennio immediatamente precedente. A titolo esemplificativo, per il biennio 2023-2024 la variazione della speranza di vita sarà computata in misura pari alla differenza tra la media dei valori registrati nel biennio 2019-2020 e la media dei valori registrati nel biennio 2017-2018. Inoltre, a decorrere dal 2021, gli adeguamenti biennali non potranno in ogni caso superare i tre mesi.

    Nel caso di incremento della speranza di vita superiore a tre mesi, la parte eccedente andrà a sommarsi agli adeguamenti successivi, fermo restando il limite di tre mesi. Nel caso di diminuzione della speranza di vita l’adeguamento non viene effettuato e di tale diminuzione si terrà conto nei successivi adeguamenti, fermo restando il predetto limite di tre mesi.

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    APE Sociale e Salvaguardia, I lavoratori potranno scegliere. Ecco le Regole



    Giovedì, 05 Aprile 2018 13:10
    Scritto da Franco Rossini
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    L'Inps diffonde alcuni chiarimenti in merito alle condizioni per accedere all'Ape sociale ed al beneficio per i lavoratori precoci. Chi ha ottenuto la certificazione di salvaguardia pensionistica potrà optare per l'ape sociale.

    Chi ha ottenuto la certificazione per la salvaguardia pensionistica potrà scegliere se aderire all'ape sociale o al beneficio precoci. E' questo uno dei chiarimenti forniti ieri dall'Inps con il messaggio 1481/2018 pubblicato dall'Istituto di Previdenza in risposta ai diversi quesiti sollevati dalle sedi territoriali. Ma andiamo con ordine.

    Il primo chiarimento riguarda la verifica delle condizioni di accesso ai benefici previsti per le mansioni gravose di cui all’ articolo 1, commi 179 e 199, lettera d), della legge n. 232 del 2016. Dal 1° gennaio 2018 ai fini del riconoscimento del beneficio occorre accertare che l'interessato abbia svolto per almeno 7 o 6 anni attività lavorativa c.d. “gravosa” nel periodo compreso rispettivamente nei 10 o 7 anni precedenti la data di perfezionamento dei requisiti anagrafico e/o contributivo. Ebbene a questo riguardo l'istituto precisa che tale condizione è soddisfatta pure nell'ipotesi in cui i 7 o 6 anni di attività gravosa risultino maturati alla successiva data di: a) presentazione della domanda di “certificazione”, in caso di svolgimento di attività lavorativa alla stessa data; b) versamento/accredito dell'ultima contribuzione, in caso di avvenuta cessazione dell'attività lavorativa. L’accertamento della predetta condizione, anche in via prospettica, alla data di presentazione della domanda di verifica dei requisiti deve, inoltre, sussistere alla data di presentazione della domanda di accesso al beneficio (che, com'è noto, potrebbe anche essere prodotta successivamente alla data di verifica delle condizioni ove quest'ultima sia valutata in via prospettica).

    L'Inps chiarisce, inoltre, che il versamento/accredito di contribuzione non dipendente da attività gravosa successiva alla prima data utile di accesso al beneficio, indicata nella “certificazione”, potrebbe comportare la perdita del diritto al beneficio in parola nei casi in cui ciò implichi il venir meno della condizione dello svolgimento dell'attività gravosa negli ultimi 6 o 7 anni.

    Ai fini della verifica dello svolgimento dei 7 o 6 anni di attività gravosa sono considerati utili i periodi coperti da contribuzione obbligatoria riferita all’attività lavorativa c.d. gravosa e i periodi in cui è stata accreditata contribuzione figurativa per eventi verificatesi in costanza del rapporto di lavoro con svolgimento di attività c.d. gravosa (ad esempio, malattia, congedi per handicap, maternità nel rapporto di lavoro, etc.).

    Pertanto, ai fini del riconoscimento del beneficio occorre che nell’arco temporale dei 10 o 7 anni, come sopra individuato, il lavoratore risulti in possesso di contribuzione obbligatoria riferita ad attività lavorativa c.d. gravosa e/o di contribuzione figurativa per eventi verificatisi in costanza del rapporto di lavoro c.d. gravoso che, complessivamente considerata, sia rispettivamente pari ad almeno 7 o 6 anni. Mentre non saranno utili i periodi di disoccupazione (es. Naspi o mobilità) essendo queste contribuzioni figurative accreditate per eventi fuori dal rapporto di lavoro.

    Con particolare riferimento ai lavoratori dipendenti a tempo determinato nel settore agricolo e della zootecnia, tale condizione si considera verificata qualora, nell’arco temporale dei 10 o 7 anni, come sopra individuato, tali soggetti abbiano perfezionato rispettivamente almeno 1092 contributi giornalieri (pari a 156 contributi giornalieri per 7 anni) o almeno 936 contributi giornalieri (pari a 156 contributi giornalieri per 6 anni), utilizzando, a tal fine, anche la contribuzione accreditata con riferimento alla predetta attività eccedente le 156 giornate annue.
    Salvaguardia ed Ape Sociale

    L'altro chiarimento importante riguarda la cumulabilità dell'Ape sociale o del pensionamento con 41 anni di contributi e l’accesso alla pensione in salvaguardia. Il Ministero del Lavoro e delle politiche sociali con nota del 13.10.2017 n. 7214 ha chiarito che “i soggetti che abbiano già ottenuto la certificazione per l’accesso alla pensione in salvaguardia, hanno la facoltà di optare tra le due prestazioni”. Pertanto, nei casi di domanda di riconoscimento delle condizioni di accesso all’APE sociale/beneficio “precoci” presentate da soggetti che abbiano già ottenuto la certificazione per la salvaguardia, l'Inps dovrà convocare i richiedenti al fine di invitarli ad effettuare, per iscritto, una scelta: se accedere alla salvaguardia e rinunciare al beneficio Ape Sociale/Precoci, oppure se rinunciare alla salvaguardia ed accedere al beneficio Ape sociale/Precoci.

    Nel criterio di scelta è preferibile quasi sempre la prima ipotesi perchè anche se è vero che l'Ape sociale può decorrere con qualche mese di anticipo rispetto alla pensione in regime di salvaguardia l’accoglimento della domanda di verifica delle condizioni per l’APE sociale/beneficio “precoci” non assicura l’accesso al beneficio se il soggetto perde lo status prima della decorrenza dell’indennità o non perfeziona i requisiti valutati in “via prospettica” in sede di istruttoria. Dunque il rischio è che l'assicurato che ha rinunciato alla salvaguardia perda pure il diritto all'Ape Sociale/beneficio precoci nel caso in cui vengano meno i requisiti prima della decorrenza dell'indennità. Inoltre la pensione in salvaguardia non è soggetta ai limiti di importo a differenza dell'ape sociale che prevede un tetto massimo a 1.500 euro lordi mensili.
    Invalidi e Caregivers

    Altro chiarimento da segnalare riguarda quegli assicurati che hanno fatto richiesta dell’APE sociale e del pensionamento anticipato dei lavoratori c.d. precoci nel profilo di tutela dedicato agli invalidi almeno al 74% o nel profilo dedicato ai cd. caregivers. In tal caso si è posta la questione della morte del soggetto assistito o della perdita dello status di invalido al 74% prima o dopo la decorrenza della prestazione. Ebbene in tal caso l'Inps indica che il venir meno delle predette condizioni successivamente alla data di decorrenza effettiva dei trattamenti non fa venir meno il diritto ai benefici in parola. Ad esempio, quindi, la morte dell'assistito una volta conseguito il beneficio dell'Ape sociale non porta la revoca del trattamento nei confronti del parente che presta assistenza. I benefici non possono essere, invece, riconosciuti nei confronti dei soggetti con riferimento ai quali sia venuto meno, alla data di decorrenza effettiva dell’APE sociale o della pensione anticipata per i lavoratori c.d. precoci, lo status di invalido pari o superiore al 74% o si sia verificato il decesso dell’assistito. Dunque se la morte dell'assistito si verifica nel lasso temporale che intercorre tra la domanda di verifica o di accesso al beneficio e quella di effettiva decorrenza dello stesso la prestazione non potrà essere concessa.

    L'Inps spiega, infine, che con particolare riguardo ai soggetti che hanno perfezionato i requisiti e le condizioni nell’anno 2017 – per i quali la decorrenza effettiva del trattamento è retrodatata al primo giorno del mese successivo alla maturazione di tutti i requisiti e le condizioni e, comunque, non anteriormente al 1° maggio 2017 – lo stato di invalidità almeno pari al 74% e l’esistenza in vita dell’assistito devono, invece, sussistere alla data di presentazione della domanda di accesso al beneficio.

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    La pensione di inabilità è una prestazione economica, erogata a domanda, in favore dei lavoratori per i quali viene accertata l’assoluta e permanente impossibilità di svolgere qualsiasi attività lavorativa.
    La Pensione di Inabilita'
    Il dizionario di Pensioni Oggi

    L'inabilità identifica uno stato invalidità al 100% in cui il soggetto non può svolgere alcuna attività lavorativa, nemmeno a carattere temporaneo. Il nostro ordinamento prevede due trattamenti di inabilità a seconda se il soggetto abbia o meno contribuzione accreditata nel proprio conto corrente assicurativo. Si tratta dell'inabilità previdenziale, regolata dalla legge 222/1984, di cui ci stiamo occupando, e della pensione di inabilità civile regolata dall'articolo 12 della legge 118/1971 che è invece, una prestazione assistenziale, vincolata al rispetto di determinati requisiti reddituali a cui si rimanda per il relativo approfondimento.

    Indice

    Destinatari
    Requisiti
    Svolgimento Attività Lavorativa
    Durata e revisione
    La misura
    Trasformazione in pensione di vecchiaia
    I Destinatari

    La pensione di Inabilità previdenziale è riconosciuta nei confronti della generalità dei lavoratori iscritti presso l'assicurazione generale obbligatoria dei lavoratori dipendenti, i fondi sostitutivi della stessa, le gestioni speciali dei lavoratori autonomi che abbiano perso completamente la capacità di lavoro per cause esterne al rapporto di servizio (in tal caso al lavoratore spetterebbe, infatti, la pensione privilegiata). Dal 1996 la prestazione è stata estesa anche nei confronti dei dipendenti pubblici e ai lavoratori iscritti alla gestione separata.

    I Requisiti

    Per il conseguimento della pensione di inabilità è necessario che il soggetto si trovi in condizione di infermità fisica o mentale tale da determinare un'assoluta e permanente impossibilità a svolgere qualsiasi attività lavorativa (100% di invalidità); il soggetto deve altresì vantare almeno 5 anni di anzianità assicurativa (devono essere trascorsi almeno 5 anni dalla data di inizio dell'assicurazione) e contributiva, almeno 3 dei quali maturati nei 5 anni precedenti la domanda di pensione. Per il conseguimento del requisito contributivo, a differenza di quanto accade con l'assegno ordinario di invalidità, è possibile anche totalizzare, cioè cumulare gratuitamente i contributi versati in diversi fondi di previdenza.
    Svolgimento di attività Lavorativa

    La pensione di inabilità è incompatibile con lo svolgimento di qualsiasi attività lavorativa sia di natura subordinata che autonoma, anche se se svolte all'estero. L'interessato inoltre deve essere stato cancellato dagli elenchi anagrafici degli operai agricoli, dagli elenchi nominativi dei lavoratori autonomi e dagli albi professionali oltre a dover rinunciare a qualsiasi trattamento contro la disoccupazione. Nel caso in cui, dopo aver conseguito la prestazione, si verifichi una delle predette cause di incompatibilità, il pensionato è tenuto a darne immediata comunicazione all'inps il quale revoca la pensione di inabilità sostituendola, ove ne ricorrano le condizioni, con l'assegno ordinario di invalidità. In tale ipotesi il pensionato sarà tenuto a restituire le eventuali differenze tra l'importo dei ratei di pensione di inabilità percepiti e quelli dell'assegno di invalidità dovuti.
    Durata e Revisione

    La prestazione non ha una durata prefissata a differenza di quanto accade con l'assegno ordinario di invalidità che viene rinnovato ogni tre anni. Essa, tuttavia, può essere sottoposta al procedimento di revisione previsto dall'articolo 9 della legge 222/1984 a seguito di iniziativa dell'Inps. In tale circostanza la prestazione può essere confermata, trasformata in assegno ordinario di invalidità (qualora si accerti una invalidità inferiore al 100% ma superiore ai due terzi) oppure revocata qualora il titolare dimostri il recupero della capacità lavorativa a piu' di un terzo.
    La misura

    La prestazione è calcolata, in linea generale, sulla base dei contributi effettivamente versati. Il sistema di calcolo è misto se c'era contribuzione antecedente il 1996 secondo quanto prevedono le regole generali: retributivo sino al 2011 se c'erano almeno 18 anni di contributi accreditati entro il 31.12.1995 e contributivo sulle quote successive; oppure, se c'erano meno di 18 anni di contributi al 31.12.1995, il calcolo contributivo scatta su tutte le quote successive al 1° gennaio 1996. Per gli iscritti successivi al 1996 il calcolo è tutto contributivo. Ai fini della determinazione della misura c'è tuttavia una specifica normativa che consente di "sganciare" l'importo della pensione dai contributi versati per aiutare a conseguire un assegno piu' elevato. Nello specifico, per le pensioni liquidate nel sistema misto o nel sistema contributivo, l'anzianità contributiva maturata viene incrementata virtualmente (nel limite massimo di 2080 contributi settimanali, pari a 40 anni) dal numero di settimane intercorrenti tra la decorrenza della pensione di inabilità e il compimento dei 60 anni di età (messaggio inps 219/2013). Questa contribuzione deve essere quantificata prendendo a base le medie contributive pensionabili possedute negli ultimi cinque anni e rivalutate ai sensi dell'articolo 3, comma 5 del Dlgs 503/1992. Il coefficiente di trasformazione, come per gli assegni di invalidità, dovrà essere quello relativo all'età di 57 anni per i soggetti che hanno un'età inferiore. Per ulteriori dettagli circa le modalità di calcolo del bonus contributivo.

    Si ricorda, inoltre, che la prestazione può essere oggetto, ricorrendone le condizioni, di integrazione al trattamento minimo e/o delle maggiorazioni sociali previste dalla normativa vigente. Riguardo a tale ultimo profilo bisogna segnalare che i titolari del trattamento possono beneficiare, già al compimento del 60° anno di età, del cd. incremento al milione ai sensi dell'articolo 38 della legge 448/2001.
    La trasformazione in pensione di vecchiaia




    La pensione di inabilità non si trasforma automaticamente in pensione di vecchiaia come invece accade per l'assegno ordinario di invalidità. Perchè ciò avvenga è necessario che il pensionato possa far valere i requisiti di età e contributivi previsti per tale prestazione e presenti apposita domanda all'ente. A tal fine si ricorda che ai fini del raggiungimento del requisito contributivo per la prestazione di vecchiaia, nelle ipotesi di trasformazione, non possono essere considerati come contributi figurativi i periodi di godimento della pensione di inabilità (a differenza invece di quanto previsto con l'assegno di invalidità). Tale principio tuttavia è temperato dall'articolo 4, comma 4 della legge 222/1984 secondo il quale, nelle ipotesi in cui la pensione di inabilità cessi in seguito a recupero della capacità lavorativa da parte del titolare, i periodi di godimento della pensione di inabilità sono considerati come contribuzione figurativa.
    Trattamento ai superstiti

    La pensione di inabilità è reversibile ai superstiti. Pertanto, in caso di decesso del titolare dell'assegno, i suoi familiari potranno conseguire la pensione di reversibilità.

    Leggi Tutto: http://www.pensionioggi.it/dizionario/la-p...a#ixzz5ByrXo6NI
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    Insegnanti di ruolo che accettano supplenze: domanda di trasferimento se si perde la titolarità di sede




    di Giovanna Onnis




    L’art.36 del CCNL 29/11/2017 consente ai docenti di ruolo di accettare un incarico a tempo determinato in altro ruolo/classe di concorso. Questa disposizione non è stata eliminata con il nuovo CCNL 2016/2018 e risulta, quindi, confermata anche per il futuro fino a nuove disposizioni.
    COSA STABILISCE L’ART.36
    L’articolo succitato, avente come oggetto “Contratti a tempo determinato per il personale in servizio” stabilisce quanto segue:
    1. Ad integrazione di quanto previsto dall’art. 28, il personale docente può accettare, nell’ambito del comparto scuola, rapporti di lavoro a tempo determinato in un diverso ordine o grado d’istruzione, o per altra classe di concorso, purché di durata non inferiore ad un anno, mantenendo senza assegni, complessivamente per tre anni, la titolarità della sede.
    2. L’accettazione dell’incarico comporta l’applicazione della relativa disciplina prevista dal
    presente CCNL per il personale assunto a tempo determinato, fatti salvi i diritti sindacali.
    CONSEGUENZE PER TITOLARITÀ DEI DOCENTI
    In base a quanto indicato nel citato art.36, i docenti di ruolo che hanno accettato un rapporto di lavoro a tempo determinato per complessivi tre anni e si trovano attualmente nel quarto anno, perdono la titolarità della sede e dovranno, quindi, presentare domanda di trasferimento per ottenere la sede definitiva nella provincia.
    Gli insegnanti che si trovano in questa condizione, se non presentano domanda di trasferimento saranno trasferiti d’ufficio con punti zero
    Tutto ciò in sintonia con quanto prevede l’art.2 comma 2 del CCNI dove viene esplicitato che “I docenti ancora in attesa di titolarità definitiva nella provincia, ivi compreso il personale docente che ha perso la titolarità definitiva ai sensi dell’articolo 36 del CCNL,sono tenuti a presentare domanda di trasferimento. I predetti docenti, al fine di ottenere una titolarità definitiva nel corso delle operazioni di mobilità, devono esprimere preferenze per scuole e/o ambiti della provincia di titolarità; in caso contrario vengono trasferiti d’ufficio nella provincia con punti zero [….]”
    QUANDO SI PERDE LA TITOLARITÀ
    Riteniamo utile chiarire che la perdita della titolarità si verifica se è stato accettato un incarico a tempo determinato, ai sensi dell’art.36 del CCNL 29/11/2017, per complessivi tre anni che non necessariamente devono essere stati svolti consecutivamente. Sono interessati, quindi, i docenti di ruolo che hanno già maturato il terzo anno (anche non consecutivo) negli anni precedenti e che stanno svolgendo nell’anno in corso il quarto anno con rapporto a tempo determinato ai sensi dell’art.36
    ADEMPIMENTE DELLE SCUOLE
    Le istituzioni scolastiche hanno il compito di inserire al SIDI, nell’area relativa allo stato giuridico, tutti i contratti anche pregressi relativi al personale docente che abbia accettato incarichi a tempo determinato in altro ruolo/classe di concorso ai sensi dell’art.36 del CCNL 29/11/2017.
    In particolare la scuola di titolarità dovrà registrare il collocamento in aspettativa per incarico in altro ruolo/classe di concorso e la scuola sede di servizio dovrà registrare il contratto a tempo determinato sulla piattaforma SIDI
    COMPITI DEGLI UFFICI SCOLASTICI PROVINCIALI
    Gli Uffici Scolastici Provinciali devono gestire la perdita di titolarità e la conseguente mobilità di questi docenti. A tal fine i Dirigenti scolastici devono comunicare i nominativi, suddivisi per classe di concorso e ordine di scuola, dei docenti che hanno già maturato il terzo anno con incarico a tempo determinato e che trovandosi anche nel corrente anno scolastico a svolgere lo stesso incarico per il quarto anno, risultano aver perso la titolarità e per loro l’USP dovrà provvedere al trasferimento d’ufficio in assenza di domanda volontaria
    COME VIENE DISPOSTO IL TRASFERIMENTO
    I criteri con i quali vengono disposti i trasferimenti per questi docenti, sono stabiliti nel succitato art.2 comma 2 del CCNI, dove si chiarisce che nella domanda di trasferimento devono esprimere preferenze per scuole e/o ambiti della provincia di titolarità e nel caso in cui non possano essere soddisfatti per nessuna delle preferenze espresse “sono assegnati a titolarità definitiva su ambito sui posti residuati dopo i trasferimenti provinciali d’ufficio dei titolari perdenti posto in provincia, prima delle operazioni della mobilità professionale all’interno della provincia e della mobilità territoriale tra provincie diverse. A tal fine, seguendo l’ordine di graduatoria con cui gli stessi partecipano al movimento, a ciascun aspirante viene assegnata d’ufficio la prima titolarità disponibile su ambito provinciale, per una delle tipologie di posto richieste nella domanda seguendo la tabella di viciniorietà tra ambiti, a partire dalla prima preferenza valida espressa. I docenti della scuola primaria titolari su tipologia di posto comune e i docenti della scuola secondaria di primo grado titolari su classe di concorso partecipano d’ufficio sui posti di istruzione per l’età adulta in mancanza di disponibilità sulle tipologie di posto suddette. In caso di mancata presentazione della domanda i predetti docenti sono sottoposti, previa individuazione da parte del competente ufficio territoriale, alla mobilità d’ufficio e si considera come partenza il primo ambito della provincia di titolarità”
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    Riforma pensioni: vediamo cosa accadrà all’Opzione Donna, a 57 anni di età e 35 di contributi




    CEDAN – Considerate le continue richieste di consulenza pervenute presso la segreteria nazionale di Cedan s.r.l.s., abbiamo scelto di predisporre un articolo esplicativo in materia di opzione donna che non è stata confermata per il 2018, ma considerata la platea dei beneficiari, se ne tornerà a parlare in futuro.

    Ricordiamo, infatti, che nel 2018 non c’è stata la tanto attesa proroga dell’Opzione Donna che può essere ancora richiesta, ma solamente da coloro che hanno maturato i requisiti necessari negli anni scorsi. Questa misura però non è stata archiviata definitivamente dal momento che se ne tornerà a parlare con la nuova riforma delle pensioni.

    A tal proposito assumono molta rilevanza le consultazioni che avranno inizio oggi al Quirinale, con il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella che riceverà le varie forze politiche prima di decidere a chi attribuire l’incarico di formare un Governo. In caso di accordo tra Lega e M5S – con i pentastellati che però hanno posto il veto su Forza Italia – è molto probabile che si arriverà presto ad una revisione della Legge Fornero con l’approvazione di misure alternative, quali la Quota 41 e la Quota 100, così come la stabilizzazione dell’Opzione Donna.

    In caso di mancato accordo, invece, è sempre più probabile un ritorno alle urne con la riforma delle pensioni che dovrà attendere ulteriormente. Nel caso in cui si concretizzasse un potenziale accordo di Governo tra Movimento 5 Stelle e Centrodestra (con o senza Forza Italia) con la maggioranza per approvare una nuova riforma delle pensioni che renderebbe più flessibile la Legge Fornero, quale sarebbe il futuro dell’Opzione Donna? Vediamolo assieme.

    L’Opzione Donna oggi

    All’interno della Legge di Bilancio 2018 non vi è menzione alcuna relativa alla, tanto attesa, proroga dell’Opzione Donna. Anche se non è stata presa in considerazione, occorre precisare che ci sono delle lavoratrici che possono ancora richiederla per andare in pensione in anticipo.

    Per chi non lo sapesse questa opzione è riservata sia alle lavoratrici nel pubblico impiego che nel settore privato: a queste viene permesso di andare in pensione al compimento dei 57 anni di età se maturati 35 anni di contributi. L’Opzione Donna inoltre è accessibile anche dalle lavoratrici autonome, ma in questo caso il requisito anagrafico è di 58 anni di età.

    Tuttavia chi volesse usufruire dell’Opzione Donna deve essere a conoscenza del fatto che il proprio trattamento di quiescenza subirà una pesante decurtazione; va precisato che tale riduzione è causata dal sistema di calcolo dell’assegno regolato interamente su sistema contributivo che, come noto, è più svantaggioso del sistema retributivo o del misto.

    Introdotta dalla Legge Maroni (la n°243/04) l’Opzione Donna non è stata rinnovata per il 2018. Ciò significa che ad oggi possono richiederla solamente coloro che:

    hanno compiuto 57 anni e 7 mesi entro il 31 luglio del 2016;
    hanno maturato 35 anni di contributi entro il 31 dicembre del 2015.

    Ricordiamo inoltre che per accedervi bisogna essere iscritte all’assicurazione generale obbligatoria o ad altri fondi sostitutivi esclusivi che al 31 dicembre del 1995 erano in possesso di contributi. Non possono richiederla, invece, le lavoratrici iscritte alla gestione separata.

    L’Opzione Donna di domani

    È chiaro che per l’anno in corso l’Opzione Donna nel 2018 è stata solamente “sospesa”: l’obiettivo, per tutti gli schieramenti politici, è quello di strutturare tale forma di flessibilità in uscita. Ne ha ampiamente discusso il presidente della Commissione Lavoro alla Camera, Cesare Damiano, ed è una possibilità prevista sia nel programma elettorale della Lega che in quello del Movimento 5 Stelle. I

    nsomma, così come la Quota 41 che potrebbe essere estesa a tutti, anche l’Opzione Donna potrebbe essere stabilizzata, con lo star bene dell’Unione Europea che invece non sembra essere favorevole ad una nuova riforma delle pensioni. Dal prossimo anno le lavoratrici in possesso di 35 anni di contribuzione potrebbero richiedere il collocamento a riposo al compimento dei 57 anni di età; per ulteriori sviluppi, in ogni caso, occorrerà attendere un eventuale accordo di Governo.

    Un’eventuale adesione a tale forma di flessibilità in uscita comporta anche un ricalcolo del montante contributivo alla luce di una corretta elaborazione del TFR; naturalmente si riapre l’annosa questione, più volte ripresa della cronaca in materia fiscale, relativa all’illegittimità della trattenuta sul Tfr.

    La questione è abbastanza controversa, cerchiamo di far chiarezza e capire perché è necessario aderire al ricorso proposto dall’associazione di categoria Anief. Era il 29 ottobre del 2012 quando dalle silenti stanze di Piazza Colonna veniva emanato il decreto legge della vergogna: stiamo parlando del Decreto Legge 185/12 recante “Disposizioni urgenti in materia di trattamento di fine servizio dei dipendenti pubblici”.

    Attraverso l’emanazione di tale decreto il governo, in maniera del tutto arbitraria, decide di ripercuotere il dictat contenuto all’interno dell’art 12 c.10 della legge 122/10 con la quale si trasformava il TFS dei dipendenti delle amministrazioni statali in regime TFR, pur mantenendo la contribuzione del 2,50% a carico degli stessi. Tale decreto dispone il ripristino del trattamento di fine servizio (TFS) a decorrere dal gennaio 2011 e la riliquidazione del trattamento di fine rapporto (TFR), ora di nuovo TFS, per dipendenti che sono stati collocati in quiescenza dagli enti pubblici nel biennio 2011-2012. Il DL 185/12, che presuppone il ritorno alla previgente indennità di buonuscita (TFS), decreta di fatto legittima la trattenuta previdenziale. Tale escamotage messo in atto dai tecnici di Piazza Colonna ha evitato la restituzione, ad ogni dipendente, di una cifra stimata tra 1000-1100 euro, continuando nel contempo ad effettuare mensilmente la trattenuta del 2,50% ai dipendenti pubblici assunti in servizio prima del 31 dicembre 2000.

    È di fondamentale importanza comprendere che tale decreto apre comunque importanti scenari, ovvero, l’opportunità di recuperare le somme illegittimamente trattenute a coloro che, invece, sono in regime di TFR, ovvero coloro che sono stati assunti dopo il 1 gennaio 2001 e quelli che hanno optato per il sistema previdenziale del Fondo Espero.

    Ne consegue che queste due categorie di lavoratori devono chiedere la restituzione del prelievo indebito all’INPS (ente previdenziale che dal 1 gennaio 2012 ha incorporato l’INPDAP). I docenti coinvolti sono gli incaricati annuali assunti dopo il 31 dicembre 2000, mentre quelli di ruolo, essendo in servizio anteriormente a tale data, rientrano nel regime della buonuscita (TFS). Avviare il ricorso in questione è importantissimo, oltre che necessario, per recuperare tali cifre sia nel breve periodo che per vedersi riconosciuto un legittimo trattamento di quiescenza.

    Vai alla pagina di adesione al ricorso TFR

    Per informazioni, contatta la sede Cedan più vicina a te e visita il nostro sito! Per contattare la sede nazionale scrivi un’e-mail all’indirizzo [email protected] e contatta il numero 091 7098356.
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    Concorso docenti abilitati: dalla prova orale alla graduatoria regionale, al FIT. Tutte le info


    https://www.orizzontescuola.it/concorso-do...-tutte-le-info/



    Presentate le domande, indichiamo le modalità e le tempistiche per la costituzione della graduatoria di merito regionale, dalla quale si attingerà per l’accesso al 3° anno di FIT. Tutte le problematiche ancora aperte

    Quante domande sono state presentate per ogni classe di concorso. La tabella

    13 APRILE IN GU LA REGIONE DELLA PROVA PER CLASSI DI CONCORSO CON POCHI ASPIRANTI

    Il 13 aprile il Ministero pubblicherà in Gazzetta Ufficiale la regione per classi con pochi candidati. Durante l’incontro al Ministero è stato chiarito che si intende con tale dicitura “ le classi di concorso con meno di 100 partecipanti a livello nazionale” .

    Sarà scelta la regione in cui al momento, per quella classe di concorso, è presente il maggior numero di docenti di ruolo. In questo modo infatti sarà più semplice poter costituire le commissioni per lo svolgimento della prova. Quali sono le classi di concorso

    10.000 i docenti di ruolo che hanno inoltrato la domanda. Leggi tutto

    LA PROVA ORALE

    Si tratta di un colloquio di natura didattico – metodologico, durante il quale sarà accertato anche la conoscenza della lingua al livello almeno B2 (non è richiesta la certificazione).
    La prova ha una durata max di 45 minuti.
    Per ambiti verticali ci sarà un’unica prova ma graduatorie diverse.

    Prova orale possibile da maggio 2018. Come si svolgerà

    Concorso docenti abilitati, prova orale classi concorso ambiti disciplinari verticali. Come si svolgerà

    I PROGRAMMI

    Classe A23 Italiano L2 Concorso docenti abilitati, per la classe A23 (Italiano L2) abilitazione + requisiti aggiuntivi, il programma di studio

    Bando concorso scuola docenti abilitati, cosa devo studiare? Ecco i programmi

    La prova è solo orale, no pratica né esecuzione per strumento musicale. Leggi tutto

    LA VALUTAZIONE DEI TITOLI

    Quanti punti vale l’abilitazione. Con esempi Leggi tutto

    180 giorni, a tempo determinato

    servizio vale se continuativo per almeno 180 giorni, a tempo determinato. No sostegno per classe comune. Le FAQ

    Come si valuta il servizio, anche per sostegno. Quando inserire anno in corso. Leggi tutto

    Servizio non specifico: sì primaria, sì sostegno. Leggi tutto

    Chi avrà 19 punti in più per l’abilitazione . Leggi tutto

    La tabella dei titoli

    L’AMMISSIONE AL FIT e LE IMMISSIONI IN RUOLO

    A proposito della cancellazione di chi viene ammesso al FIT da tutte le altre graduatorie concorsuali la DG-Personale ha precisato che la cancellazione va estesa anche alle graduatorie di merito del concorso 2016 e ha espresso la volontà del Ministero di renderla operativa all´atto della sottoscrizione del contratt o che prevede la partecipazione al FIT, mentre resta inefficace per coloro che, pur ammessi al terzo anno di tale percorso, non sottoscrivono il relativo contratto.

    Concorso docenti abilitati: cancellati da tutte le graduatorie, compreso concorso 2016. Quando avverrà

    Come si svolgerà il FIT

    Congelare il FIT per accettare supplenza in altra regione. Leggi tutto

    Concorso scuola docenti abilitati: come avverranno le assunzioni? Tutte le percentuali e le info utili

    Immissioni in ruolo: GaE al 50%, concorso 2016 e concorso 2018. Le percentuali Leggi tutto

    SCHEDA UIL Concorso docenti abilitati 2018, come si svolgerà, come funzionerà la graduatoria di merito regionale, depennamento dalle graduatorie. Scheda UIL
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    Concorso docenti abilitati, Anief: ricorso contro cancellazione graduatorie al momento dell’ammissione al FIT


    di redazione




    comunicato Anief – Presto migliaia di docenti che parteciperanno al concorso per docenti abilitati verranno cancellati da tutte le graduatorie, sia quelle storiche (GaE e d’Istituto), sia quelle di “merito” dei vincitori di concorso 2016: lo comunica la rivista Orizzonte Scuola, specificando che l’esclusione sarà resa operativa all´atto della sottoscrizione del contratto che prevede la partecipazione al sistema di Formazione iniziale e tirocinio, il cosiddetto FIT.
    Anief non ci sta. E decide di ricorrere contro la cancellazione dalle suddette graduatorie di merito, ma anche dalle varie Graduatorie ad Esaurimento e d’Istituto, nel momento in cui si accede al terzo anno del Fit. Il giovane sindacato ribadisce l’illegittimità della previsione, l’irragionevolezza e l’illogicità di questa decisione: si dichiara quindi pronto a ricorrere al Tribunale amministrativo regionale per chiederne l’annullamento.
    “Ancora una volta – commenta Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief e segretario confederale Cisal – l’amministrazione introduce una procedura che anziché dare maggiori opportunità di stabilizzazione ai docenti, dando loro la possibilità di essere immessi in ruolo attraverso più graduatorie e liste di attesa che ogni precario si è faticosamente conquistato, decide in modo unilaterale e sorprendente di resettare tutto e ripartire daccapo, con le nuove graduatorie che si andranno a determinare a seguito del periodo di Formazione iniziale e tirocinio. Secondo noi, stiamo assistendo all’ennesimo errore, a danno di chi chiede solo di svolgere questa professione a tempo indeterminato. È chiaro che non staremo a guardare: abbiamo già predisposto un ricorso apposito, per opporci a tali cancellazioni illegittime”.
    Il ricorso è avverso il d.lgs. 59/2017 nella parte in cui prevede la cancellazione da tutte le graduatorie (Graduatorie ad Esaurimento, Graduatorie d’Istituto, Graduatorie di Merito) dei docenti ammessi al FIT. Possono partecipare al ricorso i docenti ammessi al FIT che intendono impugnare la cancellazione da tutte le graduatorie di precedente inclusione (GaE, GI, GM): gli interessati al ricorso possono cliccare su questo link.
    http://www.anief.org/index.php?option=com_...ria&Itemid=1218
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    Detrazioni spese scolastiche: tutte le info utili


    Di
    Fabrizio De Angelis -
    31/03/2018
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    La legge di Bilancio 2018 presenta la voce riferita alle detrazioni delle spese scolastiche, che possono essere quindi scaricate dalle tasse dei contribuenti. La detrazione rappresenta il 19% delle spese e riguarda i genitori di un figlio piccolo iscritto all’asilo o che frequenta la scuola o che studia all’università.
    Detrazioni scuola: nido, infanzia, primaria e secondaria

    Lo schema riassuntivo delle spese scolastiche riportato dal Sole 24 Ore, specifica che la detrazione al 19% delle spese comprende le rette di asili nido pubblici e privati e le spese per le cosiddette “sezioni primavera”. Tuttavia, per ogni figlio non è possibile superare il limite di 632 euro.

    Ma non solo: le detrazioni al 19% sono valide per la scuola dell’infanzia, primaria, secondaria di primo e secondo grado, sia statali che paritarie.
    E’ bene sottolineare che la detrazione comprende il costo per la mensa e per i servizi scolastici integrativi, come l’assistenza al pasto e il pre e post scuola. Inoltre nel pacchetto sono previste le gite scolastiche, quelle per l’assicurazione della scuola e i contributi relativi all’ampliamento dell’offerta formativa deliberati dagli organi d’istituto. Gli importi massimi per ogni studente relativi al bonus vengono calcolati con 717 euro per l’anno 2017, 786 euro per il 2018 e 800 euro a partire dal 2019.
    In mezzo alla notizia

    Anche per gli iscritti ai licei musicali o comunque chi nel piano di studi ha in programma l’acquisto di strumenti musicali ci sono delle misure: c‘è infatti il contributo, una tantum, del 65% sul prezzo finale (massimo 2.500 euro) e riguarda gli studenti iscritti ai licei musicali, appunto, e ai corsi preaccademici.
    Università e Master

    La legge di Bilancio ha pensato anche agli studenti universitari, i cui genitori potranno usufruire delle detrazioni al 19%, compresi gli studenti che frequentano un corso di studi fuori dall’Italia: in questo caso, il calcolo si fa in base alle tasse di immatricolazione e di iscrizione, ed ovviamente su quelle per gli esami di profitto e di laurea, comprensive delle somme utilizzate per fare i test preliminari. Non esistono limiti di spesa per gli atenei statali, mentre nel caso di università privata o telematica, legalmente riconosciuta, il limite su cui calcolare lo sconto è stabilito annualmente da un decreto del Ministero dell’Istruzione, che tiene conto degli importi medi di tasse e contributi dovuti agli atenei del Paese.

    Anche i corsi post universitari di specializzazione e di perfezionamento di università pubbliche e private, italiane o straniere, oppure master gestiti da istituti universitari (considerati solo quelli che per durata e struttura dell’insegnamento sono assimilabili a corsi universitari o di specializzazione, corsi di specializzazione, dottorati di ricerca), possono essere inseriti nelle detrazioni delle spese d’istruzione, al 19%.
    Studenti fuori sede

    Buone notizie anche per i genitori con figli che studiano fuori dalla provincia di residenza: la legge di bilancio 2018 non solo ha diminuito la distanza minima richiesta tra il luogo di residenza e quello dell’università, ma mantiene la detrazione del 19% applicata ai contratti di ospitalità, agli atti di assegnazione o locazione stipulati con enti per il diritto allo studio, università e collegi universitari riconosciuti, su un importo massimo di 2.633 euro.
    Tale detrazione è valida per studenti fuori sede, residenti ad almeno 100 chilometri di distanza dal comune in cui si trova l’ateneo che si frequenta. Tale limite arriva a 50 km per i periodi d’imposta 2017 e 2018, soltanto per gli studenti che risiedono in zone montane o disagiate.
    Per ottenere le detrazioni cosa presentare

    Per ottenere le detrazioni alla spese scolastiche o universitarie bisogna conservare le ricevute o le quietanze di pagamento con gli importi e il titolo della spesa e presentare il tutto al Caf.

    Nel caso in cui il pagamento andrà a soggetti terzi (e non alla scuola), sarà necessaria l’attestazione dell’istituto da cui si rilevi la delibera di approvazione, coi dati dello studente.
    Per quanto riguarda le spese della mensa scolastica, è richiesta la ricevuta del bollettino postale o del bonifico, con la relativa causale e dati dell’alunno, per inserirlo in detrazione.
    Anche nel caso di pagamento in contanti o buoni spesa, sarà necessaria l’attestazione della scuola o del soggetto a cui è stato indirizzato il pagamento.
  9. .

    15 fattori lavorativi di stress nella scuola


    Di
    Aldo Domenico Ficara -
    30/03/2018


    Proponiamo un elenco di 15 fattori lavorativi che rappresentano motivo di stress nella scuola:

    percorso di carriera inadeguato;
    continuo susseguirsi di riforme scolastiche;
    classi numerose;
    situazione di precariato;
    rapporto con studenti/alunni e genitori lungo, protratto nel tempo ed estenuante;
    confronto con stile di vita sempre più multietnico e multiculturale per l’aumento del numero degli studenti extracomunitari;
    aumento del numero di alunni disabili nelle classi;
    delega educativa da parte della famiglia;
    conflittualità tra colleghi;
    livellamento del ruolo degli studenti rispetto a quello dei docenti;
    passaggio dall’individualismo al lavoro di equipe;
    inadeguato ruolo istituzionale riconosciuto alla professione e sua svalutazione in favore del successo e del guadagno;
    carichi di lavoro eccessivi;
    risorse didattiche inadeguate;
    frequenza delle riunioni inadeguata.
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    Pensioni, mentre incombe la Fornero2 il M5S prende di mira i vitalizi di 2.600 ex deputati e vedove


    Di
    Alessandro Giuliani -
    30/03/2018


    Mentre si continua a dibattere sull’innalzamento della soglia di accesso alla pensione di vecchiaia, ormai posta a 67 anni, in Parlamento il Movimento 5 Stelle comincia a parlare con insistenza della necessità di tagliare i vitalizi di circa 2.600 ex deputati, comprendenti le vedove di ex parlamentari.
    Luigi Di Maio euforico

    A rinfrancare i “grillini”, è stata l’acquisizione di una delle vice-presidenze della Camera e il ruolo di questore anziano per il fedelissimo di Di Maio, Riccardo Fraccaro.

    “Questi incarichi istituzionali – ha scritto Luigi Di Maio sul blog – per noi non rappresentano poltrone visto che tutti i nostri rinunceranno al doppio stipendio, all’auto blu, alle spese di rappresentanza, al vitalizio e a tutti i privilegi che derivano da queste cariche”
    In mezzo alla notizia

    “In questi cinque anni – ha continuato – io come vicepresidente insieme a Riccardo Fraccaro, abbiamo lavorato tantissimo sui tagli agli sprechi ottenendo i primi risultati, come il taglio degli affitti d’oro, delle spese viaggio agli ex parlamentari e della polizza assicurativa dei parlamentari dalle punture di insetto e isolazioni. Pensate abbiamo raggiunto questi risultati quando eravamo solo io e Riccardo, ora in Ufficio di Presidenza alla Camera abbiamo 6 componenti più il Presidente Roberto Fico”.
    Ad un passo dalla modifica

    Il piano di M5s è trasformare in pensioni calcolate con metodo contributivo sia i vitalizi degli ex parlamentari, sia la parte maturata fino al 2012 dai parlamentari attualmente in carica. Il che comporterebbe un taglio agli assegni con un risparmio per le casse di Camera e Senato.

    Ora, essendo stati introdotti da una delibera degli uffici di presidenza di Camera e Senato, i vitalizi possono essere modificati da un analogo atto, senza bisogno di una legge. E a M5s, che ha fatto man bassa di cariche negli uffici di presidenza delle due Camere, manca solo un voto per avere la maggioranza e portare a termine il loro piano.
    Vitalizi a rischio

    Ammonta a circa 2.600 il numero di ex che percepiscono i vitalizi, presi di mira da M5s, dopo la loro abrogazione nel 2012 per i depurati in carica. Il vitalizio, introdotto negli Anni Ottanta, consisteva in un assegno che il parlamentare incassava a vita una volta tornato alla vita civile. Nel 2012 la riforma ha trasformato il vitalizio in una pensione, dunque percepita al compimento del 65esimo anno di età, quindi calcolata con metodo contributivo (pro rata).

    Così come avvenne con la riforma Dini delle normali pensioni nel 1995, il pregresso venne fatto salvo, sulla base di alcune sentenze della Corte Costituzionale per le quali i diritti acquisiti sono intangibili.

    Secondo l’Agenzia Ansa, ad essere coinvolti nella “manovra” del M5S sarebbero “vecchi leoni della Dc, come Ciriaco De Mita o Gerardo Bianco, ad ex presidenti della Camera della Seconda Repubblica, come Gianfranco Fini, Fausto Bertinotti o Irene Pivetti, passando per Massimo D’Alema e alcune centinaia di ex deputati, senza dimenticare le vedove di ex parlamentari”.
    Proietti (Uil): continuare a cambiare la legge Fornero

    Intanto, mentre si discute di tagli dei vitalizi, si infiamma la polemica per l’entità sempre più modesta delle pensioni degli italiani, collocati in tale stato sempre più tardi, a causa degli scoraggianti dati nazionali Inps: la stragrande maggioranza degli assegni pensionistici, risulta infatti inferiore ai mille euro mensili; mentre l’età media di accesso si sta sempre più innalzando.

    Per il segretario confederale della Uil Domenico Proietti, il dato contenuto nelle note Inps riferite alle pensioni liquidate nel 2017 sull’età media di accesso alla pensione pari a 63,5 anni “dimostra come il sistema italiano viaggi velocemente sopra la media dei paesi dell’Unione Europea”.

    “Nel 2019 si raggiungeranno i 67 anni (per la pensione di vecchiaia, ndr) e questo rende più che mai attuale l’esigenza di continuare ad introdurre una flessibilità intorno a 63 anni per i lavoratori. Questo è l’obiettivo – dice Proietti – che deve perseguire il nuovo Governo al fine di continuare a cambiare la legge Fornero e contribuire a favorire il turn over nel mercato del lavoro con riflessi positivi per le giovani generazioni”.
    Damiano (Pd): ma quale Fornero2!

    Dello stesso avviso, si dice Cesare Damiano, del Partito democratico: “Il quadro fornito dall’Inps sulle pensioni, che evidenzia il fatto che quasi il 71% degli assegni è inferiore ai 1.000 euro, rilancia il dibattito sul futuro della previdenza”.

    “I recenti attacchi al sistema pensionistico – ha spiegato il democratico – da parte della Commissione europea e del Fondo Monetario Internazionale, che pretenderebbero una Fornero-2, ci spronano ad andare nella direzione opposta. È evidente che, dopo le numerose riforme (2004, 2007, 2010 e 2011), il sistema è in equilibrio e che sarebbe impensabile e ingiustificata una nuova ‘mungitura’ per coprire il debito”.

    “Al contrario, va portata avanti una ulteriore opera di correzione della ‘riforma’ del Governo Monti, dopo gli interventi fatti nella precedente legislatura che hanno consentito di recuperare circa 20 miliardi di euro. Attendiamo il nuovo Governo, dopo le promesse elettorali, alla prova dei fatti. Fra tutte le correzioni da fare consideriamo prioritaria una misura, realizzata solo in parte con l’Ape sociale: la possibilità di andare in pensione con 41 anni di contributi indipendentemente dall’età anagrafica”.

    “Noi ce l’abbiamo fatta soltanto per chi svolge i cosiddetti lavori gravosi: adesso si tratterebbe di estendere questa misura a tutti i lavoratori, risolvendo in questo modo il problema dei cosiddetti ‘precoci'”. La Scuola, soprattutto i docenti, farebbero carte false per rientrarci.
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    Rientro dei docenti dopo il 30 aprile: nei 150/90 giorni di assenza rientrano anche i giorni di sospensione delle lezioni. Nota Miur conferma




    di Paolo Pizzo


    L’art 37 del CCNL/2007 dispone che “al fine di garantire la continuità didattica, il personale docente che sia stato assente, con diritto alla conservazione del posto, per un periodo non inferiore a centocinquanta giorni continuativi nell’anno scolastico, ivi compresi i periodi di sospensione dell’attività didattica, e rientri in servizio dopo il 30 aprile, è impiegato nella scuola sede di servizio in supplenze o nello svolgimento di interventi didattici ed educativi integrativi e di altri compiti connessi con il funzionamento della scuola medesima.

    Per le medesime ragioni di continuità didattica il supplente titolare che rientra dopo il 30 aprile è mantenuto in servizio per gli scrutini e le valutazioni finali. Il predetto periodo di centocinquanta giorni è ridotto a novanta nel caso di docenti delle classi terminali”.

    In questi anni molte scuole si sono domandate se i giorni di sospensione delle lezioni, es. vacanze di Natale o di Pasqua, fossero o no da computare nei 150/90 gg richiesti dalla norma anche se il titolare durante la sospensione non produce alcuna certificazione di assenza.

    Nella nostra consueta guida sull’argomento abbiamo affermato che, ai sensi dell’ex art. 34 che è stato appositamente integrato rispetto al precedente CCNL del ’95 e riconfermato in quello attuale (ora art. 37), i periodi di sospensione delle attività didattiche sono da ricomprendere nei 150/90 gg. di assenza, ed un eventuale rientro formale del docente durante tali periodi non interrompe la continuità didattica.

    In poche parole, coerentemente con ciò che accade anche con gli artt. 7/4 e 7/5 del Regolamento delle supplenze (DM 131/07), la continuità didattica, che in buona sostanza non è tanto un diritto del docente supplente quanto degli allievi, è interrotta solo con il rientro effettivo in classe del docente titolare, ma non può invece essere interrotta da un rientro formale dello stesso durante la sospensione delle lezioni perché appunto è sospesa l’attività di insegnamento (la continuità è infatti “didattica”…).
    Pertanto, il diritto degli allievi nel continuare ad avere lo stesso docente è garantito appunto dal fatto che il titolare non è rientrato fisicamente in classe.

    Il Ministero nella Nota n. 16294-28-10-2016, punto c), richiama l’Orientamento ARAN dell’11/10/2016.

    SCU_101_ORIENTAMENTI APPLICATIVI

    Ai fini del mantenimento in servizio del supplente con rientro del titolare dopo il 30 aprile, nei 150 giorni di assenza del titolare (ridotti a 90 se classi terminali) vanno inclusi i giorni di sospensione delle lezioni (vacanze di Natale /Pasqua) anche se non ha coperto tali periodi con certificazione di assenza?

    Per quanto concerne il rientro in servizio dei docenti dopo il 30 aprile, l’art. 37 del CCNL del 29.11.2007, prevede espressamente che al fine di garantire la continuità didattica, il personale docente che sia stato assente, con diritto alla conservazione del posto, per un periodo non inferiore a centocinquanta giorni continuativi nell’anno scolastico, ivi compresi i periodi di sospensione dell’attività didattica, e rientri in servizio dopo il 30 aprile, è impiegato nella scuola sede di servizio in supplenze o nello svolgimento di interventi didattici ed educativi integrativi e di altri compiti connessi con il funzionamento della scuola medesima. Per le medesime ragioni di continuità didattica il supplente titolare che rientra dopo il 30 aprile è mantenuto in servizio per gli scrutini e le valutazioni finali. Il predetto periodo di centocinquanta giorni è ridotto a novanta nel caso di docenti delle classi terminali.

    Pertanto, dalla dizione letterale della norma si evince chiaramente che i periodi di sospensione dell’attività didattica rientrano nel computo dell’assenza continuativa del docente, e che l’inclusione di tali periodi nella norma ha lo scopo di garantire la continuità didattica agli alunni, fondamentale per il loro successo formativo e didattico.

    Inoltre, per la valutazione dei giorni di sospensione delle lezioni ai fini della loro esclusione dal computo, è ritenuta essenziale l’effettiva ripresa dell’attività lavorativa del dipendente.



    Rientro dopo il 30 aprile: messa a disposizione del titolare e prosecuzione supplenza





    di Paolo Pizzo


    Riproponiamo guida del 14 aprile 2015 – Analisi di assenze continuative del titolare per 90/150 giorni, che permettono la prosecuzione della supplenza, con messa a disposizione del titolare. I giorni di sospensione delle lezioni rientrano nei 150/90 gg. di assenza.

    NORMATIVA DI RIFERIMENTO

    Il rientro del titolare dopo il 30 aprile è disciplinato dall’art. 37 del CCNL/2007. Il suddetto articolo prevede che “Al fine di garantire la continuità didattica, il personale docente che sia stato assente, con diritto alla conservazione del posto, per un periodo non inferiore a centocinquanta giorni continuativi nell’anno scolastico, ivi compresi i periodi di sospensione dell’attività didattica, e rientri in servizio dopo il 30 aprile, è impiegato nella scuola sede di servizio in supplenze o nello svolgimento di interventi didattici ed educativi integrativi e di altri compiti connessi con il funzionamento della scuola medesima. Per le medesime ragioni di continuità didattica il supplente del titolare che rientra dopo il 30 aprile è mantenuto in servizio per gli scrutini e le valutazioni finali. Il predetto periodo di centocinquanta giorni è ridotto a novanta nel caso di docenti delle classi terminali.”

    NOVITÀ INTRODOTTA DAL CCNL/2003: I GIORNI DI SOSPENSIONE DELLE LEZIONI SONO RICOMPRESI NEI 150/90 DI ASSENZA ANCHE SE IL TITOLARE EFFETTUA DEI RIENTRI “FORMALI”IN DETTI PERIODI

    In riferimento alle dichiarazioni delle OO.SS. di comparto che hanno seguito l’”evoluzione” del Contratto dal ’95 ad oggi, si devono ritenere erronee le interpretazioni della norma in oggetto in cui si afferma che i rientri formali del titolare durante la sospensione delle lezioni interrompono la continuità didattica dei 150/90 gg.

    CISL NAZIONALE: “la previsione dell’art. 37 del CCNL ricomprende nel computo dell’assenza continuativadel titolare anche i periodi di sospensione dell’attività didattica che non sono “coperti” da assenza formale. La norma infatti, peraltro espressamente integrata proprio a tal fine con il CCNL del 2003, si riferisce all’effettiva assenza continuativa dalla classe del docente titolare dell’insegnamento indipendentemente dai motivi che l’hanno determinata e considera sempre compresi nell’assenza, atutela della continuità didattica e del diritto allo studio degli alunni, i periodi di sospensione dell’attività didattica anche nei casi di eventuali “rientri in servizio fittizi”.

    CGIL: “…ciò che conta, ai fini della tutela della continuità didattica, nel rispetto del diritto allo studio degli alunni, è l’assenza del titolare rispetto alla classe, che permane anche qualora lo stesso titolare rientri in servizio “in modo fittizio” nei periodi durante i quali è prevista la sospensione delle attività didattiche”.

    UIL NAZONALE: “La continuità didattica è interrotta dal rientro in classe del docente, non dal rientro formale durante la sospensione delle lezioni”.

    L’EVOLUZIONE DELLA NORMA

    L’art. 44 del CCNL/ 1995 (Rientro in servizio dei docenti dopo il 30 aprile) recitava:
    “Al fine di garantire la continuità didattica, il personale docente che sia stato assente, con diritto alla conservazione del posto, per un periodo non inferiore a centocinquanta giorni continuativi nell’anno scolastico, e rientri in servizio dopo il 30 aprile, è impiegato nella scuola sede di servizio in supplenze o nello svolgimento di interventi didattici ed educativi integrativi e di altri compiti connessi con il funzionamento della scuola medesima. Quando il rientro in servizio coinvolge le classi terminali dei cicli di studio, il periodo di assenza continuativa di cui al comma precedente è ridotto, ai fini predetti, a novanta giorni”.

    Tale articolo disapplicava così l’art. 450, comma 4 del D.lgs n. 297/94 il quale faceva riferimento sì all’assenza continuativa del titolare, ma solo se riconducibile ad aspettative per infermità o per motivi di famiglia, mentre a partire dal CCNL/95 la tipologia di assenza non rileverà assolutamente potendosi quindi trattare di qualsiasi istituto giuridico fruito dal titolare (lo stesso principio è contenuto nell’art. 40/3 dello stesso Contratto Scuola).

    Ricordiamo art. 450/4:
    CONGEDI STRAORDINARI E ASPETTATIVE.
    “Il personale docente che sia stato collocato in aspettativa per infermità o per motivi di famiglia, per un periodo non inferiore a centocinquanta giorni continuativi, e rientri in servizio dopo il 30 aprile, è impiegato nella scuola di titolarità per supplenze o per lo svolgimento di altri compiti connessi con il funzionamento della scuola medesima. Quando il rientro in servizio coinvolga le classi terminali dei cicli di studio, il periodo di assenza continuativa per aspettativa è ridotto, ai fini predetti, a novanta giorni”.

    Art. 44 ora 37 dell’attuale CCNL Scuola: Al fine di garantire la continuità didattica, il personale docente che sia stato assente…

    Pertanto, tutti i giorni in cui il titolare non è in servizio vanno conteggiati come assenze (malattia, congedi parentali, interdizione dal lavoro, congedi di maternità, ferie ecc.).

    Con il CCNL/2003, confermato poi da quello del 2007 (attualmente in vigore), è stata aggiunta una particolarità:
    NEI 150/90 GIORNI DI ASSENZA VANNO RICOMPRESI PURE I PERIODI DI SOSPENSIONE DELLE LEZIONI, A NULLA RILEVANDO SE IL DOCENTE DURANTE TALI PERIODI RIENTRI IN SERVIZIO ANCORCHÉ FORMALMENTE.

    Infatti, l’art. 34 (ora 37) contiene questa novità:
    “Al fine di garantire la continuità didattica, il personale docente che sia stato assente, con diritto alla conservazione del posto, per un periodo non inferiore a centocinquanta giorni continuativi nell’anno scolastico, IVI COMPRESI I PERIODI DI SOSPENSIONE DELL’ATTIVITÀ DIDATTICA, e rientri in servizio dopo il 30 aprile, è impiegato nella scuola sede di servizio in supplenze o nello svolgimento di interventi didattici ed educativi integrativi e di altri compiti connessi con il funzionamento della scuola medesima. Il predetto periodo di centocinquanta giorni è ridotto a novanta nel caso di docenti delle classi terminali”.

    “….per un periodo non inferiore a centocinquanta giorni continuativi nell’anno scolastico, ivi compresi i periodi di sospensione dell’attività didattica….”.

    Pertanto, ai sensi dell’art. 34 citato che è stato appositamente integrato rispetto al precedente CCNL del ’95 e riconfermato in quello attuale (ora art. 37), i periodi di sospensione delle attività didattiche sono da ricomprendere nei 150/90 gg. di assenza, ed un eventuale rientro formale del docente durante tali periodi NON INTERROMPE la continuità didattica.

    In poche parole, coerentemente con ciò che accade anche con gli artt. 7/4 e 7/5 del Regolamento delle supplenze (DM 131/07), la continuità didattica, che in buona sostanza non è tanto un diritto del docente supplente quanto degli allievi, è interrotta solo con il rientro effettivo in classe del docente titolare, ma non può invece essere interrotta da un rientro formale dello stesso durante la sospensione delle lezioni perché appunto è sospesa l’attività di insegnamento (la continuità è infatti “didattica”…).

    Pertanto, il diritto degli allievi nel continuare ad avere lo stesso docente è garantito appunto dal fatto che il titolare non è rientrato fisicamente in classe.

    Per fare quindi un esempio, se il docente titolare rientra dopo il 30 aprile ed è stato sempre assente dall’inizio dell’anno o comunque per almeno 150 gg. (90 per le classi terminali) ma è rientrato formalmente durante le vacanze di Natale e di Pasqua (ovvero durante tali periodi non produce alcuna certificazione di assenza), il diritto del supplente a rimanere in servizio rimane intatto in quanto i periodi di sospensione delle lezioni sono da considerarsi compresi nell’assenza minima richiesta (150/90 gg.).

    COME SI CALCOLANO I 90/150 GIORNI DI ASSENZA

    Per il calcolo dei giorni NON SI TIENE CONTO della data del 30 aprile (cioè contare i giorni di assenza fino al 30 aprile), ma della DATA DI TERMINE DELL’ASSENZA DEL TITOLARE (cioè dopo il 30 aprile).

    Es.Se il giorno di rientro del titolare è previsto per il 18 maggio, bisogna contare a ritroso 150 giorni (o 90 se classi terminali) a partire da tale data, non quindi a partire dal 30 aprile.
    È ovvio che se già al 1° maggio il titolare ha raggiunto i giorni indicati nell’art. 37, il calcolo è superfluo.
    Altrimenti bisogna andare a ritroso partendo dalla data di presunto rientro del titolare (che ovviamente sarà dopo il 30 aprile) e non da quella del 30 aprile. Nell’esempio citato conteremo a ritroso dal 18 maggio.

    IL CASO DEL SUPPLENTE CHE SVOLGE SERVIZIO CONTEMPORANEO IN CLASSI TERMINALI E NON TERMINALI

    È il caso del docente titolare che insegna in due classi, una I o II media o dal I alla IV classe superiore (comunque una classe non terminale) e una III media o un V superiore, (comunque classe terminale) e ha effettuato nella classe non terminale un numero giorni di assenza continuativi inferiori ai 150, mentre nella classe terminale ha effettuato un numero di giorni di assenza continuativi superiori ai 90 giorni.

    Il titolare fino al suo rientro è sostituito da un solo supplente in tutte le classi.

    Si chiede al rientro dopo il 30 aprile in quali classi avverrà la sua messa a disposizione e come verrà utilizzato il supplente che l’ha sostituito.

    Se al rientro dopo il 30 aprile il docente titolare avrà totalizzato, nella classe NON TERMINALE, un numero di giorni di assenza continuativa inferiore a 150 giorni, dovrà riprendere effettivo servizio nella classe non terminale, mentre il supplente, in presenza dell’assenza continuativa di almeno 90 giorni, proseguirà l’insegnamento solo nella classe TERMINALE.

    Il supplente, quindi, non decade dalla supplenza e mantiene la continuità didattica nella classe terminale ma non in quella non terminale.

    Nel caso in cui fossero due supplenti a sostituire il titolare fino al suo rientro (uno nella classe terminale e un altro nella classe non terminale), quello della classe non terminale decade dalla supplenza.
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    I docenti sono obbligati a segnalare i pericoli presenti in aula? Quando si diventa responsabili




    di Natalia Carpanzano


    L’eterna diatriba sugli obblighi e responsabilità dei docenti si arricchisce sempre di nuovi capitoli, e uno di questi è certamente quello legato alla sicurezza. Nello specifico ci si chiede spesso: i docenti sono obbligati a segnalare i rischi presenti nell’edificio scolastico?

    Un obbligo dei docenti è sicuramente quello di eseguire le direttive diramate dal Dirigente Scolastico in materia di sicurezza ma allo stesso tempo è ravvisabile l’obbligo, da parte degli stessi, di segnalare eventuali situazioni potenzialmente pericolose rilevate nel corso dell’attività didattica.

    Per situazioni potenzialmente pericolose, si badi bene, non si intendono quelle legate, ad esempio, a problematiche inerenti la non conformità degli impianti o la mancanza di certificazioni di idoneità degli edifici.

    Quando si parla di segnalazioni delle non conformità presenti in aula o di situazioni di pericolo rilevate si intendono ad esempio la presenza di spigoli di infissi ad altezza di bambino,la difficoltà di evacuazione di alunni diversamente abili durate le prove di evacuazione simulate, di dispositivi antincendio alterati.

    I docenti, in questi casi, diventano responsabili se non denunciano la situazione al superiore (Dirigente Scolastico) perché a norma di codice civile (art. 2048), sono considerati responsabili diretti di eventuali danni ai loro studenti derivanti da tale situazione di illegalità.

    Segnalare immediatamente al Dirigente Scolastico o suo preposto qualsiasi condizione di pericolo di cui vengano a conoscenza, adoperandosi direttamente in caso di urgenza per eliminare lo ridurre le situazioni di pericolo grave e incombente, è sicuramente configurabile come un obbligo da parte del docente.

    Infatti, il personale docente è responsabile degli alunni e degli atti da essi commessi ai sensi dell’art. 2048 del codice civile che recita: “I precettori (insegnanti) e coloro che insegnano un mestiere o un’arte sono responsabili del danno (art. 2056 C.C.) cagionato dal fatto illecito dei loro allievi e apprendisti nel tempo in cui sono sotto la loro vigilanza (omessa vigilanza). Le persone indicate dai commi precedenti sono liberate dalla responsabilità soltanto se provano di non aver potuto impedire il fatto”. Pertanto, anche sotto l’aspetto del rapporto di lavoro nel pubblico impiego, l’insegnante ha l’obbligo giuridico di segnalare ufficialmente e dettagliatamente al superiore gerarchico le anomalie ed i rischi presenti sul proprio posto di lavoro (aula). Solo se ha adempiuto a tale incombenza si può ritenere completamente esente da qualsivoglia responsabilità di tipo disciplinare, amministrativa, civile e penale.”

    I docenti, dunque, per evitare di incorrere in conseguenze paradossali, devono preventivamente segnalare ufficialmente e dettagliatamente al Dirigente Scolastico rischi presenti in aula e contemporaneamente informare il Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza.
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    Ferie non godute e sospensione delle lezioni a Pasqua: illegittimo collocare in ferie d’ufficio docenti e Ata


    di Paolo Pizzo


    La guida riguarda tutto il personale, dai supplenti temporanei ai supplenti con contratto al 30 giugno, ai supplenti con contratto al 31 agosto, al personale assunto a tempo indeterminato (anche per questi ultimi ci sono infatti delle novità).

    Il riferimento è la legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Legge di stabilità per il 2013) e la nota del 4 settembre 2013 prot. n. 72696 del Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato.

    La novità maggiore riguarda la monetizzazione delle ferie per i docenti assunti a tempo determinato per supplenza temporanea o fino al 30/6.

    Cosa avveniva prima dell’entrata in vigore della legge?

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    Che al personale assunto a tempo determinato, assunto per supplenza breve, fino al termine delle lezioni o fino al 30/6, le ferie non fruite durante il rapporto di lavoro venivano monetizzate.

    Con l’entrata in vigore della legge ciò non è più possibile: le ferie saranno ora monetizzate nella misura data dai giorni di ferie spettanti, detratti quelli di sospensione delle lezioni compresi nel periodo contrattuale.

    Ma ci sono altre due novità.

    Una è data da cosa debba intendersi per periodo di “sospensione delle lezioni”: oltre a luglio ed agosto, anche i primi giorni di settembre e gli ultimi di giugno secondo il calendario scolastico, le vacanze natalizia e pasquale, l’eventuale sospensione per l’organizzazione dei seggi elettorali e per i concorsi, ecc.

    Noi siamo del parere che sono comunque DA ESCLUDERE i giorni di occupazione della scuola, i giorni in cui la scuola è stata chiusa per cause di forza maggiore (disinfestazione, neve, ghiaccio ecc.) o per decisione del Consiglio di Istituto.
    Tali eventuali giorni, quindi, non dovranno essere per nessun motivo sottratti al numero di ferie spettanti.

    L’altra novità è che il risultato delle ferie che dovranno essere monetizzate è dato dalla differenza tra i giorni di ferie spettanti e quelli in cui è consentito al personale in questione di fruire delle ferie A NULLA RILEVANDO SE DETTE FERIE SIANO STATE EFFETTIVAMENTE FRUITE.

    Ciò vuol dire che se il docente durante la sospensione delle lezioni in cui è possibile fruire delle ferie di fatto non richiede di fruirle, comunque ai fini della monetizzazione tali giorni saranno sottratti al monte ferie spettantegli.

    Ciononostante ricordiamo alle scuole che è ILLEGITTIMO collocare in ferie d’ufficio il personale, e che non a caso la relativa monetizzazione delle ferie deve avvenire, come in precedenza, SOLO ALLA FINE DEL CONTRATTO.

    La scuola quindi non può far nessun “ragionamento” a priori sul periodo di sospensione delle lezioni , come può essere quello delle vacanze di Natale, e il conto delle ferie spettanti lo deve fare solo al termine del contratto del supplente.

    Non valgono quindi alcuni ragionamenti che circolano nelle scuole del tipo “siccome i giorni di sospensione delle lezioni li dobbiamo sottrarre al monte ferie spettanti allora collochiamo il docente in ferie d’ufficio”.

    Nonostante qualcuno pensi che sia comunque inutile un ragionamento anziché un altro (“tanto le ferie me le tolgono lo stesso…”) noi difendiamo il principio secondo cui è sempre e comunque il docente che richiede le ferie , e per nessun motivo, in assenza di una esplicita richiesta, il dirigente potrà collocarlo in ferie d’ufficio durante le vacanze di Natale.

    Pertanto, ricordiamo che la fruizione delle ferie e la monetizzazione delle stesse sono due aspetti che vanno distinti.

    Alla scuola spetta solo il secondo aspetto, e dal momento che, come già detto, l’operazione di sottrazione delle ferie rispetto ai periodi di sospensione delle lezioni avviene indipendentemente se le ferie siano state effettivamente fruite, la scuola non deve preoccuparsi di altro.

    Ogni circolare che prevederà il collocamento del personale in ferie d’ufficio durante le vacanze di Natale dovrà essere dichiarata illegittima.

    UN CAPITOLO LO DEDICHIAMO ANCHE AI DOCENTI ASSUNTI FINO AL 31/8 E A TEMPO INDETERMINATO

    Ciò che finora abbiamo detto ovvero l’operazione di sottrarre ai giorni di ferie spettanti i giorni di sospensione delle lezioni compresi nel periodo contrattuale è prevista per il SOLO personale a tempo determinato per supplenza temporanea o fino al 30/6.

    Ciò non riguarda il personale assunto fino al 31/8 o a tempo indeterminato in normale servizio.

    Cosa allora è cambiato per tale personale nella fruizione delle ferie?

    In sostanza il periodo nel quale può fruire delle giornate di ferie : mentre ai sensi del CCNL/2007 si poteva fruire delle ferie solo dopo il termine delle attività didattiche (nei mesi quindi di luglio e agosto), ora invece il periodo è esteso a tutti i periodi di sospensione delle lezioni (vacanze di Natale, Pasqua ecc.).

    Ma anche per tale personale ciò non vuol dire che le ferie devono essere attribuite d’ufficio o che per ogni periodo di sospensione delle lezioni il dipendente è obbligato a fruire delle ferie.

    Anche in questo caso è sempre il dipendente che deve inoltrare la richiesta di fruizione di ferie.

    Vale quindi quanto già detto per il personale assunto a tempo determinato per supplenza temporanea o fino al 30/6: Ogni circolare che prevederà il collocamento del personale in ferie d’ufficio durante le vacanze di Pasqua dovrà essere dichiarata illegittima.
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    L’assegno di ricollocazione: requisiti e procedura per richiederlo




    L’assegno di ricollocazione è la prima misura di politica attiva del lavoro di livello nazionale, coordinata dall’Anpal e gestita tramite la rete pubblico-privata dei servizi per il lavoro.

    È destinata alle persone disoccupate che percepiscono la Nuova Prestazione di Assicurazione Sociale per l’Impiego (NASPI) da almeno quattro mesi.

    Consiste in un servizio personalizzato erogato da un Centro per l’Impiego o da un soggetto accreditato scelto dal disoccupato, volto al rapido reinserimento nel mondo del lavoro.

    Il Video tutorial



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    Nella fase di sperimentazione può accedere all’assegno di ricollocazione solo chi rientra nel campione preselezionato tra tutti i potenziali beneficiari.
    L’importo dell’assegno viene riconosciuto non alla persona disoccupata, ma al soggetto erogatore che ha fornito il servizio, e solo a risultato occupazionale acquisito.

    L’importo varia da un minimo di 250 euro ad un massimo di 5.000 euro, a seconda del tipo di contratto alla base del rapporto di lavoro e del grado di difficoltà per ricollocare il disoccupato.

    Le tipologie di contratto per le quali si riconosce l’esito occupazionale sono il tempo indeterminato, compreso l’apprendistato, e il tempo determinato maggiore o uguale a 6 mesi.
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    Pensione, prossimo Parlamento: ampliamento lavori usuranti e stabilizzazione Ape Sociale




    Quali sono i temi che il prossimo Parlamento dovrà affrontare relativamente alla riforma delle pensioni. Ecco cosa potrebbe accadere.

    BOERI, NO AD ABOLIZIONE RIFORMA FORNERO

    Non è possibile, secondo quanto affermato da Tito Boeri durante il festival della cultura di Bologna, abolire la riforma Fornero. Si tratterebbe di una operazione che “costerebbe tantissimo“, circa 90 miliardi di euro in termini di debito pensionistico aggiuntivo.

    Affermazioni che sono state una vera e propria doccia fredda per il Movimento 5 Stelle e per la Lega che hanno fatto della campagna contro la Legge Fornero il fulcro delle elezioni 2018.

    Di diverso avviso, invece, Matteo Salvini che ieri ha ribadito la volontà di cancellare la Legge ribattendo a Boeri

    APE SOCIALE

    Tra gli argomenti che, invece, rappresenteranno con certezza il lavoro del prossimo Parlamento ci sarà il tentativo di stabilizzazione dell’Ape sociale che potrebbe essere prorogato oltre il 2018. Tra le possibili misure anche un ampliamento delle categorie beneficiare.

    LAVORI USURANTI

    Altra questione riguarda l’allargamento delle categorie dei lavori usuranti che permettono un anticipo della pensione. Ricordiamo che tra le categorie sono state inserite le maestre d’infanzia e quelle d’asilo, escludendo tutte le altre categorie di docenti.

    Ad una richiesta di estendere a tutta la categoria di docenti il riconoscimento di lavoro usurante, ha risposto la petizione lanciata attraverso le nostre pagine che ha raccolto in breve tempo più di 30mila firme. Petizione che è stata consegnata a tutte le forze politiche, con apertura da parte di alcune di esse.
9593 replies since 8/3/2013
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