Come si diventerà docenti? La riforma della formazione punto per punto

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    Come si diventerà docenti? La riforma della formazione punto per punto




    E’ stato finalmente votato il parere finale del progetto di riforma della formazione dei docenti e della loro selezione

    Come si diventerà docenti? La riforma della formazione iniziale e della selezione dei docenti delle scuole secondarie di primo e di secondo grado.

    E’ stato finalmente votato il parere finale del progetto di riforma della formazione dei docenti e della loro selezione, esito di un percorso di riflessione riformista e progressista che va avanti da almeno 40 anni ma che nessuno mai era riuscito a concretizzare di fatto.

    La delega riguarda la formazione e la selezione dei docenti di scuola secondaria di primo e secondo grado (per intenderci: scuole medie e scuole superiori).

    Questa delega al governo, contenuta nella 107, è stata oggetto di discussione parlamentare ma “il suo svolgimento” è stato frutto dell’impegno di alcuni, in particolare dell’on. Manuela Ghizzoni e mio, a partire da una bozza-scheletro discussa e arricchita con i tanti che hanno collaborato, dai componenti dei tavoli tecnici, dai partecipanti agli incontri più volte organizzati dalla segreteria del PD e da quanti a vario titolo hanno contribuito con le loro riflessioni in occasione di diversi incontri di confronto.
    La delega non porta il mio nome e cognome e nemmeno quello di Manuela, ma porta il desiderio di tanti, le riflessioni di tanti e, consentitemelo, la nostra testardaggine e le nostre fatiche, supportata dall’ex premier Matteo Renzi, che rimane colui che ci han creduto di più. Testardaggine perché le resistenze che hanno impedito di portare a compimento questa riforma negli ultimi quarant’anni sono vive e sane e hanno lottato contro di noi. Resistenze di tipo accademico innanzitutto.

    Qualche anno fa una mia alunna mi chiese: “come si diventa docente prof?” le stavo rispondendo per dirle “scegli un’altro mestiere”, perché conoscevo sulla mia pelle il caos del percorso, e invece le scrissi, dalle pagine di questo giornale: te lo dirò tra qualche anno, tu studia. Oggi, cara Laura, posso risponderti e raccontarti di un percorso chiaro e certo perché siamo riusciti nell’impresa. Questo s’è voluto fare e si è finalmente fatto con questa delega, migliorare la scuola, valorizzare le professionalità e nello stesso tempo dare un percorso definito e di qualità a chi sceglie di fare dell’insegnamento la sua professione.

    Tutte le indagini e le ricerche, dal Rapporto Talis al The Learning Curve, confermano un pensiero che abbiamo in molti e che non è difficile da condividere: investire, qualificandola, sulla formazione iniziale e continua dei docenti e sulla loro selezione è il primo fattore di miglioramento dei sistemi d’istruzione, non si innova la scuola se non formando meglio, aggiornando e stimolando la consapevolezza di professionisti in campo pedagogico e didattico, ambiti che i docenti delle scuole superiori non hanno praticato, se non in forma autonoma, indipendente e non strutturata.

    E’ stato uno degli impegni di lavoro più duri e importanti di tutta la mia vita, di cui sono grata a molti, su tutti a Matteo Renzi, un impegno che mi ha permesso di vivere e lavorare fianco a fianco con una donna delle istituzioni come poche ne esistono: l’onorevole Manuela Ghizzoni, relatrice della delega, maestra e amica di politica, di tecnica e di vita e con un compagno di lavoro come il prof. Luciano Modica, che con noi ha vissuto tutti i passaggi.

    La visione: il docente come professionista riflessivo

    Con la nuova delega sulla formazione iniziale e il reclutamento si compie l’assunto che non basta sapere per insegnare: accanto ai saperi disciplinari acquisiti con una laurea magistrale è necessario stimolare e formare saperi professionali, studiando discipline come la pedagogia, la didattica, la psicologia, l’antropologia,…e sviluppare competenze, legando teoria e pratica, con laboratori, tirocini e attività sviolete direttamente “in corsia”, in classe e a scuola.

    Il sistema proposto e che entrerà in vigore introduce una novità sostanziale, lega cioè la formazione alla selezione e tale selezione viene effettuata formando e valutando i docenti non solo sulle loro conoscenze ma anche sulle loro attitudini, abilità e competenze (come definite negli ambiti di competenze della funzione docente presenti nel contratto attuale dei docenti o in un futuro contratto) favorendo come abitudine l’attività di studio, di riflessione e di insegnamento, come “habitus” dinamico che un docente dovrà indossare per tutta la vita.

    L’attività di studio e la maturazione professionale di un docente non finisce con la “conquista del ruolo”, sappiamo che è una progressione continua. Ecco, questa affermazione diventa realtà con la delega fin dalla setessa formazione inziale e dalla selezione dei futuri docenti., per ottenere non dei semplici impiegati, ma dei professionisti dell’educazione, che fanno scuola, riflettono sulla scuola, studiano sulla scuola e agiscono nella scuola.

    Il docente da formare è un “professionista riflessivo”, in cui pensiero e azione, studio ed esperienza saranno sempre strumenti di lavoro e di crescita nella scuola e per gli studenti e la comunità scolastica, in condivisione e arricchimento reciproco coi colleghi e con tutta la comunità educante.

    Il percorso

    Via il caos attuale, via gli anni di precariato, via le mille categorie di studenti e precari messi gli uni contro gli altri per politiche sbagliate e provvedimenti contraddittori, mettendo contro fra loro interessi legittimi. Via le spese per prendere l’abilitazione, per i tfa, per le sissis, via le ansie e le incertezze.
    Via l’abilitazione stessa. L’abilitazione non c’è più.
    Via i calderoni di migliaia e migliaia di persone in fila per decenni e nel dubbio.

    Si disegna un percorso verticale unitario in tre passaggi che prevede:

    l’aquisizione di 24 crediti prima della laurea, negli ambiti psico-pedagogici, didattici e antropologici,
    un concorso per accedere al percorso triennale
    l’accesso ai tre anni di formazione teorico-pratica a cavallo tra scuola e università, distinto in un primo anno di specializzazione, con un primo momento valutativo, e poi due anni sempre più pratici, con percorsi teorici via via minori e momenti via via sempre più pratici legati a un progetto di ricerca- azione da svolgere con laboratori, lezioni e tirocini nella scuola, con la guida di tutor universitari e scolastici, fino a giungere alle supplenze in autonomia. Alla fine dei tre anni un altro momento valutativo.

    Dopo i 5 anni di laurea, in base ai fabbisogni regionali, si bandiscono i posti nel corso/percorso, si entra con un concorso e dopo i tre anni pagati di formazione e di contratto a tempo determinato, si entrerà di ruolo, firmando il contratto a tempo indeterminato.

    Le commissioni, che seguono il docente in formazione per i tre anni, sono composte da docenti universitari e da docenti di scuola e da dirigenti, compreso il tutor scolastico e il tutor universitario.

    Ed ecco la seconda novità: la sinergia strutturata e paritetica tra Università e Scuola per formare il docente. Che significa? Significa che la ricerca educativa entra nella scuola e che la scuola entra nella ricerca educativa: trovano cioè un modo e un tempo per fare insieme e per riflettere insieme, cosa che in Italia non è mai accaduto in forma sistemica. E’ un modello unico al mondo che conserva al forte valore dell’approfondimento disciplinare fornito dal mondo accademico e che recupera il valore del fare scuola, nel corpo vivo delle classi, dei consigli di classe, delle attività connesse alla complessa organizzazione di un istituto scolastico.

    Si tratta dunque di un percorso che prevede i 5 anni di corso di laurea, quale essa sia, e poi i 3 anni in formazione/lavoro, già in contratto a tempo determinato, non si paga ma si viene pagati.

    Qualcuno può dire che è un percorso lungo? Personalmente ho acquisito una laurea, due dottorati, due master, un post phd e tre anni di lavoro precario, prima di giungere al ruolo. Altri colleghi decenni di lavoro precario e di incarichi di supplenze di qua e di là.

    Qualcuno avrebbe preferito un percorso di 3 anni di università e poi un biennio specifico per diventare insegnante? Ritengo, e con me tanti di voi, che tre anni siano pochi per maturare saperi disciplinari adeguati, l’ approfondimento dei saperi disciplinari è una caratteristica del nostro sistema d’istruzione e della nostra identità alla quale non possiamo rinunciare, e credo che comunque non si possa precludere di poter fare altro (una laurea quinquennale offre molte più possibilità) agli studenti.

    La scelta è stata a favore di un approfondimento della qualità dei futuri docenti. No, non è un percorso lungo, comunque si entra in classe comunque si viene pagati, e comunque si matura un titolo spendibile anche altrove, mi riferisco a quei casi, che saranno rari, di docenti in formazione che non entrino di ruolo (per motivazioni oggettive tra le quali una mancata e certificata in itinere attitudine all’insegnamento, eventualità che oggi possiamo solo subire, non prevenire o correggere).

    Qualcuno dice che “nessuno verrà fermato?”. Invece è una possibilità, come lo è nei dottorati.

    Dopo il concorso si entra subito in classe, anche se in compresenza, all’inizio del percorso triennale. Giovani laureati in prova, di 24/26 anni, con il loro portato di freschezza e con la voglia di innovare; fino ad oggi si è arrivati alle scuole superiori dietro una cattedra senza aver mai visto una classe, e “la formazione” si è fatta a spese dei primi studenti; questo percorso prevede invece la possibilità di maturare prima un bagaglio di esperienza e conoscenza, con tempi e calendari compatibili col mondo della scuola e per un tempo appropriato, facendo tesoro dei pregi e dei difetti dei precedenti modelli, dalle sissis, ai tfa.

    E’ un percorso che consente di verificare in itinere le competenze di un giovane tirocinante e di migliorarle e approfondirle e, se necessario, fermarlo.

    Il sistema alternativo proposto da alcuni, della “laurea professionalizzante per diventare docente”, con tre anni più due professionalizzanti, oltre a non dare adeguato spazio approfondimento della disciplina, non consentirebbe una pratica veramente tale, in sinergia con le scuole, rimarrebbe comunque un tirocinio diretto dal mondo accademico, in certo qual modo teorico, e noi abbiamo bisogno di far lavorare insieme scuola e accademia, ricerca educativa e docenti, tirocinanti e colleghi di ruolo.

    Questa sinergia di saperi e competenze, tra università e scuole, sarà un modello che farà bene a entrambe e permetterà di legare finalmente la ricerca e l’innovazione didattica alla scuola e viceversa; la scuola porterà il suo apporto alla ricerca, rendendola ancora più importante e connessa al mondo della scuola, migliorando ed elevando il livello professionale di tutti e offrendo dunque una scuola sempre in miglioramento, nello studio e nell’esperienza.

    Il docente riflessivo: un professionista, non un impiegato.

    La funzione docente era complessa da sempre, oggi lo è ancor di più. L’insegnante è uno studioso, un professionista che cresce e produce ricerca, che educa cittadini, che coltiva e trasferisce conoscenze e competenze nei suoi studenti in un modo in continuo mutamento, e che innova con consapevolezza didattica prima che tecnologica; la ricerca educativa acquisterà valore e modalità nuove: in team, coi colleghi, nel corpo vivo della scuola, e con esperienze, finalmente documentate, monitorate, proprio come nella ricerca di altri ambiti, creando un circolo virtuoso accademia-scuola, tornando poi a essere utile strumento dei docenti, da utilizzare in condivisione, sotto forma di progetti, di esperienze, di metodologie didattiche.

    L’insegnante è un professionista che costruisce la scuola delle competenze, vivendole lui per primo, nella sua formazione e selezione, insieme ai colleghi e in sinergia coi dirigenti scolastici: riconoscere e formare le professionalità di docenti e dirigenti aiuterà a comporre comunità educanti (fatte di docenti, ma anche di famiglie, di dirigenti, di associazioni, di università, di territorio) sempre più aderenti ai bisogni educativi complessi attuali e sempre più sinergiche tra loro, a piegare linguaggi e strumenti nuovi a obiettivi didattici, a riconoscerli e programmarli quegli obiettivi, qualunque sia l’esperienza di apprendimento che si va a disegnare: dal leggere, scrivere e fare di conto all’alternanza scuola lavoro.

    Uniformando il percorso formativo e selettivo si potrà crescere come comunità educante, con un lessico comune per nelle diverse individualità. Oggi così non è, è una babele di percorsi e di lessici lessicale, di intenzioni, di direzioni:con percorsi chiari, con formazione di qualità, con “cassetti degli attrezzi” a cui tutti e tutte le docenti possono accedere e poi utilizzare, mutare, innovare, come meglio credono ma con conoscenza e consapevolezza si può davvero migliorare e innovare la scuola; si auspica che tutto ciò comporti una più efficace organizzazione della comunità educante e conduca a specificità di funzioni e direzioni: cambiata la formazione potremo lavorare adesso sull’organizzazione e sulle funzioni, cioè sulle carriere, in modo più limpido ed efficace, anche legando tutto ciò a un nuovo contratto.

    E’ un progetto che permette di valorizzare socialmente la figura dei docenti e, nello stesso tempo, di togliere la professione dall’isolamento nella classe, o della scuola, un isolamento intellettuale oltre che professionale intorno ai temi didattici e pedagogici, oltre che disciplinari, che abbiamo vissuto per troppo tempo. Nella delega si creano le condizioni, il tempo e il luogo per la condivisione delle riflessioni sulla didattica e tale luogo particolare può crearsi intorno alla formazione dei nuovi colleghi, a cavallo tra accademia e corpo scolastico, anche intorno alla formazione continua dei docenti, da programmare organicamente e in continuità con gli ambiti delle competenze. Qua si parrà la nobilitate di consigli e collegi di docenti.

    Il modello e gli obiettivi

    Il percorso si ispira, oltre che ad esperienze internazionali, sia al modello del dottorato di ricerca sia a quello delle le scuole di specializzazione medica, disegnando però un sistema aderente alla nostra tradizione: fondato sull’approfondimento dei saperi disciplinari, sulle didattiche di quei saperi e sul lavoro “in corsia” per imparare a insegnare, per stimolare le didattiche disciplinari e le metodologie sul campo, sperimentazione e studio insieme, innovazione metodologica e programmazione consapevole di obiettivi; coi docenti universitari si approfondiscono saperi specifici ma ci si interroga coi colleghi nelle classi sulle competenze per “fare scuola” non solo per il “pensare scuola””, acquistando anno dopo anno autonomia. Al terzo anno si guadagna l’autonomia e si avranno incarichi di supplenza, e, nello stesso tempo si studia e si riflette sui processi, sulla propria ricerca, sugli ambiti pedagogici, didattici, psicologici, valutativi, inclusivi, antropologici, normativi, organizzativi…tutto quello che serve e che verrà poi incrementato con il bagaglio di esperienza e riflessione lungo tutto l’arco della carriera.

    Il modello prevede flessibilità e assestamento del nuovo sistema: ogni passaggio verrà monitorato e accompagnato e adattato e migliorato, come è giusto che sia, nei processi, nei ruoli, nell’organizzazione e nei contenuti. Non tutto funzionerà e ci sono i margini di cambiamento e adattamento, in base ai bisogni e alle necessità dei mondi della scuola e dei mondi accademici. Mano a mano le singole esperienze permetteranno di migliorare progressivamente il sistema.

    Il regime transitorio

    La delega si preoccupa anche del regime transitorio, rimando al documento tecnico per approfondirlo meglio, perchè il transitorio è la parte più complessa e so che i colleghi precari hanno bisogno di precisione, che qua, per brevità non posso dare: è stato difficile comporre le diverse esigenze dei colleghi precari, ma speriamo, grazie alla solerzia e alla bravura tecnica di Manuela, e all’apporto con sindacati e categorie, di aver raggiunto una quadra accettabile.
    La proposta discussa alla Camera permetterà di stabilizzare docenti attingendo dalle graduatorie per il 50% come da legge e da concorso in base ai posti e alle cattedre disponibili, si considerano anche i docenti delle seconde fasce. I docenti non abilitati presenti nelle fasce che abbiano svolto tre anni di servizio potranno essere ammessi direttamente al secondo anno di formazione.



    Ringrazio, ringraziamo tanti, davvero tanti, tutti coloro che ci lavoravano da anni, dagli anni di Mariangela Bastico e del libro Bianco, le associazioni dei docenti, le associazioni sindacali, le componenti e i componenti della 7 commissione alla Camera,e al Senato, e molti altri: il prof Zara, della Crui, che ci ha permesso di confrontarci più volte con il mondo accademico e i vari settori di quel mondo, pedagogisti e disciplinaristi, Giuseppe Bagni e Valentina Chinnici del CIDI, Andrea Gavosto, della Fondazione Agnelli, perchè, nonostante avesse idee diverse, è stato comunque per noi pungolo e persona presente, per la critica costruttiva, Giorgio Cavadi, dell’USR di Palermo, per le ultime riflessioni, Riccardo Scaglioni, dell’associazione dei tutor scolastici, il Prof. Luigi Guerra. Ringrazio anche il prof Giunio Luzzato, per delle riflessioni comuni fatte su L’Unità al tempo del mio primo articolo e per esserci stato vicino durante l’elaborazione.
    Ringrazio su tutti Matteo Renzi, che ci ha creduto tanti anni fa e l’ha messa e accolta nelle priorità.

    Adesso si parte per la prossima battaglia, da condurre insieme, come insieme a tanti si è condotta questa: definire il nuovo contratto e disegnare in modo adeguato ed efficace la carriera dei docenti legando valutazione e carriera, in modo condiviso, chiaro e obiettivo.
     
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