COME DIVENTARE INSEGNANTE, FASE TRANSITORIA

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    Diventare insegnanti. Abolita l’abilitazione, nasce il FIT




    Dopo il voto favorevole delle Commissioni parlamentari, condizionato dall’accoglimento di alcune richieste di modifica, siamo in attesa dell’approvazione definitiva del decreto legislativo da parte del Governo, del nuovo modello di formazione iniziale e reclutamento dei docenti.

    Un nuovo sistema che – a detta del Partito Democratico che se ne è assunto l’onere della stesura – permetterà di avere finalmente procedure prestabilite, chiare e regolari nel tempo.

    Per i docenti già in possesso di abilitazione e per chi potrà vantare 36 mesi di servizio alla data di approvazione del decreto, è prevista una fase transitoria per arrivare all’immissione in ruolo.

    Per gli altri docenti invece sarà necessario, dopo aver acquisito la laurea magistrale, superare un concorso e quindi accedere ad un contratto triennale retribuito di formazione, chiamato appunto FIT (formazione iniziale e tirocinio), con valutazioni in itinere e finali delle competenze e delle attitudini professionali degli aspiranti docenti.

    Dunque non ci sarà più la cosiddetta “abilitazione”, quel percorso a pagamento che apriva la strada verso il ruolo. Al ruolo si arriverà gradualmente attraverso un percorso di tirocinio. Ossia i precari verranno pagati durante la fase di formazione.

    Il primo concorso è previsto per il 2018, poi partirà il percorso triennale. Nel frattempo il Governo si impegna a svuotare le graduatorie degli abilitati (GaE e II fascia di istituto e di avviare alla stabilizzazione precari con 36 mesi di servizio) e del concorso 2016.



    Come si diventerà docenti? La riforma della formazione iniziale e della selezione nelle scuole secondarie di primo e di secondo grado




    E’ stato votato il parere finale del progetto di riforma della formazione dei docenti e della loro selezione. La delega riguarda la formazione e la selezione dei docenti di scuola secondaria di primo e secondo grado.

    Mila Spicola (PD), spiega su Unita.tv in cosa consisterà la delega che introdurrà una vera e propria rivoluzione nel percorso per diventare insegnanti nella scuola secondaria.

    Un punto fermo: l’abilitazione non c’è più.

    Si disegna un percorso verticale unitario in tre passaggi che prevede:

    l’aquisizione di 24 crediti prima della laurea, negli ambiti psico-pedagogici, didattici e antropologici,
    un concorso per accedere al percorso triennale
    l’accesso ai tre anni di formazione teorico-pratica a cavallo tra scuola e università, distinto in un primo anno di specializzazione, con un primo momento valutativo, e poi due anni sempre più pratici, con percorsi teorici via via minori e momenti via via sempre più pratici legati a un progetto di ricerca- azione da svolgere con laboratori, lezioni e tirocini nella scuola, con la guida di tutor universitari e scolastici, fino a giungere alle supplenze in autonomia. Alla fine dei tre anni un altro momento valutativo.

    Le commissioni, che seguono il docente in formazione per i tre anni, sono composte da docenti universitari e da docenti di scuola e da dirigenti, compreso il tutor scolastico e il tutor universitario.

    Si tratta dunque di un percorso che prevede i 5 anni di corso di laurea, quale essa sia, e poi i 3 anni in formazione/lavoro, già in contratto a tempo determinato, non si paga ma si viene pagati.

    Qualcuno non entrerà in ruolo?

    Mila Spicola risponde “Si matura un titolo spendibile anche altrove, mi riferisco a quei casi, che saranno rari, di docenti in formazione che non entrino di ruolo (per motivazioni oggettive tra le quali una mancata e certificata in itinere attitudine all’insegnamento, eventualità che oggi possiamo solo subire, non prevenire o correggere).”

    Qualcuno dice che “nessuno verrà fermato?”. Invece è una possibilità, come lo è nei dottorati.

    Il regime transitorio

    La proposta discussa alla Camera permetterà di stabilizzare docenti attingendo dalle graduatorie per il 50% come da legge e da concorso in base ai posti e alle cattedre disponibili, si considerano anche i docenti delle seconde fasce. I docenti non abilitati presenti nelle fasce che abbiano svolto tre anni di servizio potranno essere ammessi direttamente al secondo anno di formazione.


    LEGGI L'INTERVENTO INTEGRALE:



    Come si diventerà docenti? La riforma della formazione punto per punto


    E’ stato finalmente votato il parere finale del progetto di riforma della formazione dei docenti e della loro selezione

    Come si diventerà docenti? La riforma della formazione iniziale e della selezione dei docenti delle scuole secondarie di primo e di secondo grado.

    E’ stato finalmente votato il parere finale del progetto di riforma della formazione dei docenti e della loro selezione, esito di un percorso di riflessione riformista e progressista che va avanti da almeno 40 anni ma che nessuno mai era riuscito a concretizzare di fatto.

    La delega riguarda la formazione e la selezione dei docenti di scuola secondaria di primo e secondo grado (per intenderci: scuole medie e scuole superiori).

    Questa delega al governo, contenuta nella 107, è stata oggetto di discussione parlamentare ma “il suo svolgimento” è stato frutto dell’impegno di alcuni, in particolare dell’on. Manuela Ghizzoni e mio, a partire da una bozza-scheletro discussa e arricchita con i tanti che hanno collaborato, dai componenti dei tavoli tecnici, dai partecipanti agli incontri più volte organizzati dalla segreteria del PD e da quanti a vario titolo hanno contribuito con le loro riflessioni in occasione di diversi incontri di confronto.
    La delega non porta il mio nome e cognome e nemmeno quello di Manuela, ma porta il desiderio di tanti, le riflessioni di tanti e, consentitemelo, la nostra testardaggine e le nostre fatiche, supportata dall’ex premier Matteo Renzi, che rimane colui che ci han creduto di più. Testardaggine perché le resistenze che hanno impedito di portare a compimento questa riforma negli ultimi quarant’anni sono vive e sane e hanno lottato contro di noi. Resistenze di tipo accademico innanzitutto.

    Qualche anno fa una mia alunna mi chiese: “come si diventa docente prof?” le stavo rispondendo per dirle “scegli un altro mestiere”, perché conoscevo sulla mia pelle il caos del percorso, e invece le scrissi, dalle pagine di questo giornale: te lo dirò tra qualche anno, tu studia. Oggi, cara Laura, posso risponderti e raccontarti di un percorso chiaro e certo perché siamo riusciti nell’impresa. Questo s’è voluto fare e si è finalmente fatto con questa delega, migliorare la scuola, valorizzare le professionalità e nello stesso tempo dare un percorso definito e di qualità a chi sceglie di fare dell’insegnamento la sua professione.

    Tutte le indagini e le ricerche, dal Rapporto Talis al The Learning Curve, confermano un pensiero che abbiamo in molti e che non è difficile da condividere: investire, qualificandola, sulla formazione iniziale e continua dei docenti e sulla loro selezione è il primo fattore di miglioramento dei sistemi d’istruzione, non si innova la scuola se non formando meglio, aggiornando e stimolando la consapevolezza di professionisti in campo pedagogico e didattico, ambiti che i docenti delle scuole superiori non hanno praticato, se non in forma autonoma, indipendente e non strutturata.

    E’ stato uno degli impegni di lavoro più duri e importanti di tutta la mia vita, di cui sono grata a molti, su tutti a Matteo Renzi, un impegno che mi ha permesso di vivere e lavorare fianco a fianco con una donna delle istituzioni come poche ne esistono: l’onorevole Manuela Ghizzoni, relatrice della delega, maestra e amica di politica, di tecnica e di vita e con un compagno di lavoro come il prof. Luciano Modica, che con noi ha vissuto tutti i passaggi.

    La visione: il docente come professionista riflessivo

    Con la nuova delega sulla formazione iniziale e il reclutamento si compie l’assunto che non basta sapere per insegnare: accanto ai saperi disciplinari acquisiti con una laurea magistrale è necessario stimolare e formare saperi professionali, studiando discipline come la pedagogia, la didattica, la psicologia, l’antropologia,…e sviluppare competenze, legando teoria e pratica, con laboratori, tirocini e attività svolte direttamente “in corsia”, in classe e a scuola.

    Il sistema proposto e che entrerà in vigore introduce una novità sostanziale, lega cioè la formazione alla selezione e tale selezione viene effettuata formando e valutando i docenti non solo sulle loro conoscenze ma anche sulle loro attitudini, abilità e competenze (come definite negli ambiti di competenze della funzione docente presenti nel contratto attuale dei docenti o in un futuro contratto) favorendo come abitudine l’attività di studio, di riflessione e di insegnamento, come “habitus” dinamico che un docente dovrà indossare per tutta la vita.

    L’attività di studio e la maturazione professionale di un docente non finisce con la “conquista del ruolo”, sappiamo che è una progressione continua. Ecco, questa affermazione diventa realtà con la delega fin dalla stessa formazione inziale e dalla selezione dei futuri docenti., per ottenere non dei semplici impiegati, ma dei professionisti dell’educazione, che fanno scuola, riflettono sulla scuola, studiano sulla scuola e agiscono nella scuola.

    Il docente da formare è un “professionista riflessivo”, in cui pensiero e azione, studio ed esperienza saranno sempre strumenti di lavoro e di crescita nella scuola e per gli studenti e la comunità scolastica, in condivisione e arricchimento reciproco coi colleghi e con tutta la comunità educante.

    Il percorso

    Via il caos attuale, via gli anni di precariato, via le mille categorie di studenti e precari messi gli uni contro gli altri per politiche sbagliate e provvedimenti contraddittori, che hanno messo in lotta tra loro interessi legittimi di categorie di docenti. Via le spese per prendere l’abilitazione, per i tfa, per le sissis, via le ansie e le incertezze.
    Via l’abilitazione stessa. L’abilitazione non c’è più.
    Via i calderoni di migliaia e migliaia di persone in fila in graduatorie per decenni e nel dubbio.

    La delega prevede un percorso verticale unitario in tre passaggi:

    l’aquisizione di 24 crediti prima della laurea, negli ambiti psico-pedagogici, didattici e antropologici,
    un concorso per accedere al percorso triennale
    l’accesso ai tre anni di formazione teorico-pratica a cavallo tra scuola e università, distinto in un primo anno di specializzazione, con un primo momento valutativo, e poi due anni sempre più pratici, con percorsi teorici via via minori e momenti via via sempre più pratici legati a un progetto di ricerca- azione da svolgere con laboratori, lezioni e tirocini nella scuola, con la guida di tutor universitari e scolastici, fino a giungere alle supplenze in autonomia. Alla fine dei tre anni un altro momento valutativo.

    Dopo i 5 anni di laurea, in base ai fabbisogni regionali, si bandiscono i posti nel corso/percorso, si entra con un concorso e dopo i tre anni pagati di formazione e di contratto a tempo determinato, si entrerà di ruolo, firmando il contratto a tempo indeterminato.

    Le commissioni, che seguono il docente in formazione per i tre anni, sono composte da docenti universitari e da docenti di scuola e da dirigenti, compreso il tutor scolastico e il tutor universitario.

    Ed ecco la seconda novità: la collaborazione strutturata e paritetica tra Università e Scuola per formare il docente. Che significa? Significa che la ricerca educativa entra nella scuola e che la scuola entra nella ricerca educativa: trovano cioè un modo e un tempo per fare insieme e per riflettere insieme, cosa che in Italia non è mai accaduto in forma sistemica. E’ un modello unico al mondo che conserva al forte valore dell’approfondimento disciplinare fornito dal mondo accademico e che recupera il valore del fare scuola, nel corpo vivo delle classi, dei consigli di classe, delle attività connesse alla complessa organizzazione di un istituto scolastico.

    Si tratta dunque di un percorso che prevede i 5 anni di corso di laurea, quale essa sia, e poi i 3 anni in formazione/lavoro, già in contratto a tempo determinato, non si paga ma si viene pagati.

    Qualcuno può dire che è un percorso lungo? Personalmente ho acquisito una laurea, due dottorati, due master, un post phd e tre anni di lavoro precario, prima di giungere al ruolo. Altri colleghi decenni di lavoro precario e di incarichi di supplenze di qua e di là.

    Qualcuno avrebbe preferito un percorso di 3 anni di università e poi un biennio specifico per diventare insegnante? Ritengo, e con me tanti di voi, che tre anni siano pochi per maturare saperi disciplinari adeguati, l’approfondimento dei saperi disciplinari è una caratteristica del nostro sistema d’istruzione e della nostra identità alla quale non possiamo rinunciare, e credo che comunque non si possa precludere di poter fare altro (una laurea quinquennale offre molte più possibilità) agli studenti.

    La scelta è stata a favore di un approfondimento della qualità dei futuri docenti. No, non è un percorso lungo, comunque si entra in classe comunque si viene pagati, e comunque si matura un titolo spendibile anche altrove, mi riferisco a quei casi, che saranno rari, di docenti in formazione che non entrino di ruolo (per motivazioni oggettive tra le quali una mancata e certificata in itinere attitudine all’insegnamento, eventualità che oggi possiamo solo subire, non prevenire o correggere).

    Qualcuno dice che “nessuno verrà fermato”. Invece è una possibilità, come lo è nei dottorati, e comunque, fin dal primo dei tre anni, si potrà capire e valutare come e in cosa migliorare le competenze, oppure comprendere che non si è portati. Accade, lo sapete, lo sappiamo. Se si ama e si sa svolgere il mestiere insegnare è un paradiso, ma se non lo si sa svolgere e non lo si ama diventa una trappola, una prigione, con effetti deleteri per se, prima che per gli studenti.

    Dopo il concorso si entra subito in classe, anche se in compresenza con un altri docenti; e si entra in classe subito, all’inizio del percorso triennale, giovani laureati in prova, di 24/26 anni, con il loro portato di freschezza e con la voglia di innovare; fino ad oggi si è arrivati alle scuole superiori dietro una cattedra, da titolari e da soli, senza aver mai visto una classe e “la formazione” si è fatta a spese dei primi studenti; questo percorso prevede invece la possibilità di maturare prima un bagaglio di esperienza e conoscenza, con tempi e calendari compatibili col mondo della scuola e per un tempo appropriato, facendo tesoro dei pregi e dei difetti dei precedenti modelli, dalle sissis, ai tfa.

    E’ un percorso che consente di verificare in itinere le competenze di un giovane tirocinante e di migliorarle e approfondirle e, se necessario, fermarlo.

    Il sistema alternativo proposto da alcuni, della “laurea professionalizzante per diventare docente”, con tre anni più due professionalizzanti, oltre a non dare adeguato spazio approfondimento della disciplina, non consentirebbe una pratica veramente tale, in sinergia con le scuole, rimarrebbe comunque un tirocinio diretto dal mondo accademico, in certo qual modo teorico, e noi abbiamo bisogno di far lavorare insieme scuola e accademia, ricerca educativa e docenti, tirocinanti e colleghi di ruolo.

    Questa sinergia di saperi e competenze, tra università e scuole, sarà un modello che farà bene a entrambe e permetterà di legare finalmente la ricerca e l’innovazione didattica alla scuola e viceversa; la scuola porterà il suo apporto alla ricerca, rendendola ancora più importante e connessa al mondo della scuola, migliorando ed elevando il livello professionale di tutti e offrendo dunque una scuola sempre in miglioramento, nello studio e nell’esperienza.

    Il docente riflessivo: un professionista, non un impiegato.

    La funzione docente era complessa da sempre, oggi lo è ancor di più. L’insegnante è uno studioso, un professionista che cresce e produce ricerca, che educa cittadini, che coltiva e trasferisce conoscenze e competenze nei suoi studenti in un modo in continuo mutamento, e che innova con consapevolezza didattica prima che tecnologica; la ricerca educativa acquisterà valore e modalità nuove: in team, coi colleghi, nel corpo vivo della scuola, e con esperienze, finalmente documentate, monitorate, proprio come nella ricerca di altri ambiti, creando un circolo virtuoso accademia-scuola, tornando poi a essere utile strumento dei docenti, da utilizzare in condivisione, sotto forma di progetti, di esperienze, di metodologie didattiche.

    L’insegnante è un professionista che costruisce la scuola delle competenze, vivendole lui per primo, nella sua formazione e selezione, insieme ai colleghi e in sinergia coi dirigenti scolastici: riconoscere e formare le professionalità di docenti e dirigenti aiuterà a comporre comunità educanti (fatte di docenti, ma anche di famiglie, di dirigenti, di associazioni, di università, di territorio) sempre più aderenti ai bisogni educativi complessi attuali e sempre più sinergiche tra loro, a piegare linguaggi e strumenti nuovi a obiettivi didattici, a riconoscerli e programmarli quegli obiettivi, qualunque sia l’esperienza di apprendimento che si va a disegnare: dal leggere, scrivere e fare di conto all’alternanza scuola lavoro.

    Uniformando il percorso formativo e selettivo si potrà crescere come comunità educante, con un lessico comune per nelle diverse individualità, oggi così non è, è una babele di percorsi e di lessici, di intenzioni, di direzioni, si potrà con percorsi chiari, con formazione di qualità, con “cassette degli attrezzi” a cui tutti e tutte le docenti possono accedere e poi utilizzare, mutare, innovare, come meglio credono; solo con conoscenza e consapevolezza si può davvero migliorare e innovare la scuola. Si auspica che tutto ciò comporti una più efficace organizzazione della comunità educante, perché quello dell’organizzazione e della gestione è ancora uno dei grandi punti deboli delle scuole e conduca a specificità di funzioni e direzioni: cambiata la formazione potremo riflettere proprio sull’organizzazione e sulle funzioni diversificabili dell’essere docente, cioè sulle carriere, legando tutto ciò sì alla valutazione, ma, soprattutto, a un nuovo contratto.

    E’ un progetto che permette di valorizzare socialmente la figura dei docenti e, nello stesso tempo, di togliere la professione dall’isolamento nella classe, o della scuola, un isolamento intellettuale oltre che professionale intorno ai temi didattici e pedagogici, oltre che disciplinari, che abbiamo vissuto per troppo tempo. Nella delega si creano le condizioni, il tempo e il luogo per la condivisione delle riflessioni sulla didattica e tale luogo particolare può crearsi intorno alla formazione dei nuovi colleghi, a cavallo tra accademia e corpo scolastico, anche intorno alla formazione continua dei docenti, da programmare organicamente e in continuità con gli ambiti delle competenze. Qua si parrà la nobilitate di consigli e collegi di docenti.

    Il modello e gli obiettivi

    Il percorso si ispira, oltre che ad esperienze internazionali, sia al modello del dottorato di ricerca sia a quello delle le scuole di specializzazione medica, disegnando però un sistema aderente alla nostra tradizione: fondato sull’approfondimento dei saperi disciplinari, sulle didattiche di quei saperi e sul lavoro “in corsia” per imparare a insegnare, per stimolare le didattiche disciplinari e le metodologie sul campo, sperimentazione e studio insieme, innovazione metodologica e programmazione consapevole di obiettivi; coi docenti universitari si approfondiscono saperi specifici ma ci si interroga coi colleghi nelle classi sulle competenze per “fare scuola” non solo per il “pensare scuola””, acquistando anno dopo anno autonomia. Al terzo anno si guadagna l’autonomia e si avranno incarichi di supplenza, e, nello stesso tempo si studia e si riflette sui processi, sulla propria ricerca, sugli ambiti pedagogici, didattici, psicologici, valutativi, inclusivi, antropologici, normativi, organizzativi…tutto quello che serve e che verrà poi incrementato con il bagaglio di esperienza e riflessione lungo tutto l’arco della carriera.

    Il modello prevede flessibilità e assestamento del nuovo sistema: ogni passaggio verrà monitorato e accompagnato e adattato e migliorato, come è giusto che sia, nei processi, nei ruoli, nell’organizzazione e nei contenuti. Non tutto funzionerà e ci sono i margini di cambiamento e adattamento, in base ai bisogni e alle necessità dei mondi della scuola e dei mondi accademici. Mano a mano le singole esperienze permetteranno di migliorare progressivamente il sistema.

    Il regime transitorio

    La delega si preoccupa anche del regime transitorio, rimando al documento tecnico per approfondirlo meglio, perchè il transitorio è la parte più complessa e so che i colleghi precari hanno bisogno di precisione, che qua, per brevità non posso dare: è stato difficile comporre le diverse esigenze dei colleghi precari, ma speriamo, grazie alla solerzia e alla bravura tecnica di Manuela, e all’apporto con sindacati e categorie, di aver raggiunto una quadra accettabile.
    La proposta discussa alla Camera permetterà di stabilizzare docenti attingendo dalle graduatorie per il 50% come da legge e da concorso in base ai posti e alle cattedre disponibili, si considerano anche i docenti delle seconde fasce. I docenti non abilitati presenti nelle fasce che abbiano svolto tre anni di servizio potranno essere ammessi direttamente al secondo anno di formazione.

    Ringrazio, ringraziamo tanti, davvero tanti, tutti coloro che ci lavoravano da anni, dagli anni di Mariangela Bastico e del libro Bianco, le associazioni dei docenti, le associazioni sindacali, le componenti e i componenti della 7 commissione alla Camera,e al Senato, e molti altri: il prof Zara, della Crui, che ci ha permesso di confrontarci più volte con il mondo accademico e i vari settori di quel mondo, pedagogisti e disciplinaristi, Giuseppe Bagni e Valentina Chinnici del CIDI, Andrea Gavosto, della Fondazione Agnelli, perchè, nonostante avesse idee diverse, è stato comunque per noi pungolo e persona presente, per la critica costruttiva, Giorgio Cavadi, dell’USR di Palermo, per le ultime riflessioni, Riccardo Scaglioni, dell’associazione dei tutor scolastici, il Prof. Luigi Guerra. Ringrazio anche il prof Giunio Luzzato, per delle riflessioni comuni fatte su L’Unità al tempo del mio primo articolo e per esserci stato vicino durante l’elaborazione.
    Adesso si parte per la prossima battaglia, da condurre insieme, come insieme a tanti si è condotta questa: definire il nuovo contratto e disegnare in modo adeguato ed efficace la carriera dei docenti legando valutazione e carriera, in modo condiviso, chiaro e obiettivo.


     
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    Decreti L.107/15, i paracadute dei precari delle graduatorie d’istituto si chiamano Fit e Grame



    Alessandro Giuliani Venerdì, 07 Aprile 2017

    Fonte: Tecnica della scuola


    Trova il consenso del Governo il “paracadute” escogitato dalle commissioni parlamentari per stabilizzare i precari storici delle GaE e delle graduatorie d’istituto.

    Il nuovo decreto legislativo sul reclutamento, approvato il 7 aprile dal CdM, prevede, infatti, una fase transitoria, durante la quale dovranno essere svuotate le Graduatorie ed esaurimento, al pari di quelle di merito relative all’ultimo concorso del 2016.

    Ma, assicurano da Viale Trastevere, sono previste anche “delle procedure concorsuali specifiche per chi sta già insegnando come supplente da tempo”.

    Per quanto riguarda le docenti e i docenti abilitati della seconda fascia delle graduatorie di istituto è previsto un concorso ad hoc, da bandire il prossimo anno, con una sola prova orale seguita da un anno di servizio con una valutazione finale.

    Quest’ultima operazione, quella dell’anno di attività sul campo, si svolgerà però solo in presenza di “disponibilità di posti”, specificano dal ministero dell’Istruzione.

    Svolto l’anno di servizio, i precari “entreranno in ruolo, dunque, dopo una ulteriore verifica in classe”, sottolineano ancora dal Miur.
    Non sarà quindi più necessaria l'abilitazione all'insegnamento, quella oggi conseguibile tramite Tfa o Pas: il suo posto verrà preso da una sorta di "specializzazione".

    La decisione ha già sollevato più di qualche malumore in ambiente sindacale, perchè viene consederata un'anomalia rispetto ai Paesi europei che posseggono un sistema d'istruzione nazionale simile a quello italiano.

    Per quanto riguarda, invece, le iscritte e gli iscritti nelle terze fasce di istituto, la via preferenziale sarà riservata solo a coloro che possono vantare tre anni di servizio (verranno inclusi nelle nuove Graduatorie di merito regionali, le cosiddette Grame): questi aspiranti docenti, oggi non abilitati, potranno anche loro accedere ai concorsi pubblici, svolgendo comunque una prova scritta e una orale.

    I vincitori, oggi nelle graduatorie d’istituto, accederanno al nuovo percorso formativo FIT , acronimo di percorso triennale di formazione, inserimento e tirocinio (previsto per i vincitori dei prossimi concorsi), che per loro avrà durata biennale anziché triennale: svolgeranno, infatti, solo il primo e terzo anno. Con quest’ultimo che prevede pure lo svolgimento di supplenze.

    Facendo, infine, una previsione, sulla base dei nuovi elementi legislativi oggi noti, nella migliore delle ipotesi la loro immissione in ruolo si concretizzerà non prima del 2021.
     
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    FIT, scoppia la polemica dei CFU a pagamento: per diventare insegnante bisogna pagare?
    Fabrizio De Angelis Venerdì, 28 Aprile 2017

    Fonte: Tecnica della scuola


    Prima ancora di capire nel dettaglio come funzionerà il nuovo reclutamento, iniziano le prime polemiche in merito all'accreditamento dei CFU necessari per accedere al FIT.

    Infatti, come spiegato già in precedenza, il nuovo “concorsone” pubblico, previsto per il 2018, prevede due scritti (tre per il sostegno) e un orale. Chi lo passa entra in un percorso triennale di formazione, inserimento e tirocinio (FIT), con una retribuzione crescente che parte fin dal periodo della formazione. Le docenti e i docenti vengono valutati per tutta la durata del percorso. Chi passa entra in un percorso triennale di formazione, inserimento e tirocinio. Alla fine del triennio, se la valutazione è positiva, vengono immessi in ruolo.


    Per accedere al FIT, è necessario conseguire 24 CFU in materie didattico-antro-psico-pedagogiche.
    Nonostante il Miur ancora non abbia comunicato le indicazioni operative per l'erogazione di questi esami, alcuni enti abilitati alla formazione, come ICOTEA E-Learning Institute, hanno aperto un master che permetterebbe agli studenti di acquisire a pagamento i crediti necessari per l’accesso al concorso.

    A segnalare il caso, è LINK, il coordinamento degli studenti che polemizza (giustamente): “riteniamo sia gravissimo quanto sta accadendo. È assurdo che un ente privato come ICOTEA E-Learning Institute, possa già erogare esami i cui settori scientifico disciplinari devono essere ancora definiti da un prossimo decreto attuativo”, dichiara Andrea Torti, Coordinatore di LINK Coordinamento Universitario. “E' poi oltremodo grottesco che tale Master vanti un cofinanziamento europeo e un accreditamento “al MIUR ai sensi della Direttiva 170/16”.

    “Ci stiamo mobilitando per ottenere che siano le università pubbliche ad erogare i 24 CFU in forma completamente gratuita, prosegue Torti, sia per chi è iscritto o laureando sia per chi è laureato, e per ottenere che il ministero indichi immediatamente i settori scientifico disciplinari in cui è necessario conseguire questi CFU! È inaccettabile questa fase di incertezza: la legge prevede che il primo concorso venga tenuto nel 2018, chiediamo risposte immediate!”

    Proprio il coordinamento universitario, nei giorni scorsi ha lanciato la campagna #IoVoglioInsegnare e organizzato assemblee con centinaia di studenti e studentesse in tutta Italia.
    “Ci stiamo organizzando attraverso il gruppo Facebook 'NUOVO FIT: IO VOGLIO INSEGNARE' e abbiamo lanciato una fotopetizione che vanta già centinaia di adesioni”, continua il coordinatore LINK.

    La domanda che sorge spontaneamente, a seguito della segnalazione di Link è la seguente: com'è possibile che un ente privato accreditato al Ministero dell'Istruzione possa far pagare per acquisire i crediti per FIT?

    “Tramite il Consiglio Nazionale degli Studenti Universitari abbiamo già presentato alcune proposte dettagliate e di buon senso, conclude Torti del Coordinamento LINK. Va prevista una fase transitoria nella quale siano accettati tutti gli esami inclusi negli ambiti previsti, ed un sistema di finanziamento per gli atenei, in modo che possano erogare gratuitamente questi 24 CFU sia per chi è ancora iscritto ad un corso di laurea, sia per chi è già laureato”.
     
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3 replies since 24/3/2017, 11:31   2734 views
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