Ero considerata una buona insegnante, adesso il rapporto con scuola e studenti un incubo.

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    Ero considerata una buona insegnante, adesso il rapporto con scuola e studenti un incubo. Il burnout colpisce senza avvisare




    di Vittorio Lodolo D'Oria


    Quando un lavoratore va in burnout, saltano tutti i parametri della vita quotidiana: si provano senso di colpa, vergogna per non essere performanti come un tempo, manie di persecuzione e una serie di somatizzazioni oramai più che note.

    Nello scorrere la preziosa testimonianza di Gloria (nome di fantasia) osserveremo la sintomatologia e le manifestazioni cliniche ma porremo particolare attenzione al fluire dei pensieri che finiscono col perdere il loro senso logico nel tempo fino ad arrivare alla più completa contrapposizione e incoerenza. Ciò sembra essere sintomo della battaglia in corso tra Bene e Male nell’individuo piuttosto che un cedimento strutturale dell’ideazione verso il deragliamento o la schizofrenia conclamata. Siamo comunque in una fase assai delicata dove trovare un valido supporto specialistico è fondamentale. Recuperare la funzionalità della persona e la sua fiera vitalità è certamente possibile ma esclusivamente sotto una guida esperta e costante.

    Per una comprensione più immediata della testimonianza, si riporteranno le osservazioni direttamente all’interno della lettera nello scorrere del racconto operato dalla docente.

    Gloria. Gentile dottore, grazie innanzitutto per il lavoro che svolge per gli insegnanti, la seguo da tempo sui social e conosco le sue ricerche. Le scrivo per chiederle un’opinione sulla mia situazione. Sono un’insegnante della primaria con 36 anni di servizio alle spalle e 59 anni di età. Ho sempre dato molto per la scuola in termini di tempo, ansia, frustrazione e sono stata quasi sempre considerata una buona insegnante, paziente e disponibile. Da alcuni anni il mio rapporto con la scuola e con alcuni alunni è diventato un incubo: insonnia, mal di testa, pianti, fissazioni, crisi depressive con rifiuto di qualsiasi cosa, perdita di interesse, litigi con mio marito che non sopporta più i miei sfoghi, nessuna reale collaborazione con colleghe che minimizzano sempre le problematiche da me sollevate.

    Riflessioni. Gloria ha investito molte energie nel suo lavoro e si è accorta, all’improvviso, di essere “in riserva” senza che l’accensione di una qualche spia l’avesse preavvertita per tempo. E’ l’errore tipico degli insegnanti che mettono anima e cuore nella corsa che ritengono essere sulla media distanza, un mezzofondo come negli anni ‘80. Con le riforme previdenziali invece siamo passati nel giro di 20 anni (1992-2012) dalle baby-pensioni ai 67 anni di età. In altre parole gli insegnanti si trovano oggi a correre impreparati un’interminabile maratona senza avere la minima idea di come dosare le limitate forze in un tipo di gara totalmente diversa ed estenuante. Avremo pertanto sempre più casi come quello di Gloria in cui la reazione negativa saranno la vergogna e l’isolamento anziché la condivisione e la ricerca di un valido supporto sul lavoro e in famiglia. Le somatizzazioni rappresentano il corollario a un disagio cui il corpo cercherà di reagire lanciando messaggi di conclamato malessere o malfunzionamento da ogni distretto corporeo. E tutto ciò di fronte a un ambiente familiare incapace di intendere uno sforzo che è ritenuto pressoché nullo da una opinione pubblica drogata di stereotipi.

    Gloria. Dopo l’ultimo episodio, anche parlando con mio marito, ho deciso che devo lasciare la scuola perché sono in uno stato di depressione (ho iniziato a prendere un ansiolitico) che sta rovinando la mia vita e quella della mia famiglia. Sono consapevole di essere una persona con una emotività forse patologica, un basso livello di autostima e una ipersensibilità. Ho lavorato su questi aspetti a livello personale, ma non riesco a continuare nel mio lavoro e rischio di cadere in comportamenti autolesivi e dannosi per la classe. Questa angoscia non la associo ad altre situazioni, si verifica solo con il dover entrare in classe, con presenza di bambini molto problematici e per alcune ore senza insegnante di sostegno (quest’anno un ADHD e un BES comportamentale e 3/4 dei bambini stranieri).

    Riflessioni. Il ciclone investe la sfera professionale senza risparmiare la dimensione familiare e relazionale in genere. La persona si mette in discussione a tutto tondo e si sente fragile al punto da arrivare a dichiarare la presenza di aspetti “patologici” nella propria individualità. Non solo: c’è un oggettivo e riconosciuto rischio di comportamenti auto ed eterolesivi che conducono a una farmaco e psicoterapia individuale. L’origine del malessere è chiaramente di matrice professionale, ma la dimensione familiare, invece di costituire un baluardo a difesa delle minacce esterne, ne è irrimediabilmente travolta a causa degli anzidetti stereotipi che hanno minato la credibilità e il ruolo della professione docente nella società.

    Gloria. A peggiorare la situazione mi trovo da sola; tutte e ripeto tutte le mie colleghe, supplenti comprese, riescono, con i loro metodi, a gestire la situazione per cui il senso di fallimento personale, di umiliazione e di vergogna è intollerabile per me, che fino ad ora sono stata considerata comunque una persona equilibrata, capace e preparata.

    Riflessioni. La sensazione di solitudine segna un’ulteriore tappa della discesa verso il baratro. Inizialmente questa sarà imputata all’incapacità nel gestire la situazione mentre tutte le colleghe sembrano riuscirvi senza problema. In seguito il senso di colpa tende solitamente a evolvere verso un franco delirio persecutorio che non è ancora presente nel caso in esame. Per quanto tempo ancora? Fino a quando la situazione diverrà intollerabile e non sarà più sufficiente attribuire la colpa dei fallimenti a se stessi ma occorrerà chiamare in causa i colleghi o il coniuge proiettando su di loro le colpe e le sconfitte per condividerle quasi ne fossero essi stessi responsabili e perciò colpevoli.

    Gloria. Mi scusi per lo sfogo, vorrei capire quali strade posso percorrere: come comportarmi con il Preside, mi va bene tutto anche l’inabilità all’insegnamento, anche il licenziamento, l’aspettativa, pur non volendo farmi troppo del male anche perché vorrei continuare a lavorare se possibile. Sono una gran lavoratrice; non mi spaventano le ore di lavoro, farei anche meno vacanze, lavorerei anche per meno soldi, purché lontana da bambini che ora non sopporto più. Sicuramente sono in fase depressiva, ma questa è collegata alla disastrosa situazione che sto vivendo a scuola e non a una mia visione distorta della realtà. L’unica cosa che voglio fare è non mettere più piede in una scuola!

    Riflessioni. Eccoci di fronte al grido di sofferenza finale in cui la richiesta d’aiuto è apparentemente sconclusionata, contraddittoria, irrazionale o di fuga: “… mi va bene tutto anche l’inabilità all’insegnamento, anche il licenziamento, l’aspettativa pur non volendo farmi troppo del male anche perché vorrei continuare a lavorare se possibile…”. Di sicuro c’è la risoluta volontà di interrompere il rapporto con l’utenza riconosciuto giustamente quale supremo responsabile di un’usura psicofisica divenuta oramai intollerabile. E questo è l’aspetto paradossale della professione docente: nessuno crede che si tratti di un lavoro psicofisicamente usurante, che determini malattie professionali prevalentemente psichiatriche, che non possa essere svolto oltre una certa età e via discorrendo. Quali possibilità avremo di fare in futuro una seria prevenzione dello Stress Lavoro Correlato senza riconoscere le malattie professionali della categoria, senza stanziare soldi ad hoc, continuando a seppellire il lavoro dei docenti sotto insulsi stereotipi? Casi come quelli di Gloria si moltiplicano quotidianamente a danno degli insegnanti medesimi e della stessa utenza.

    Gloria. Per tentare di tirare avanti sono anche andata in part-time. Sarà tutto questo poco professionale, ma sono esasperata nel sentire per ore urlare parolacce da due bambini di sette anni mentre altri attorno piangono per i dispetti di questi e dopo, vedere che entra una collega e questi si calmano immediatamente, tornare a casa e piangere per ore. Evidentemente non sono in grado di gestire queste problematiche e non può non esserci modo di allontanarmi dalla scuola. La ringrazio per l’attenzione. Gloria

    Conclusioni. Anche il ricorso al part-time, di per sé logico e corretto considerate le circostanze, non ha dato i frutti sperati e genera ulteriori sensi di colpa. Gloria è oramai convinta di essere un caso isolato e disperato mentre tutto il mondo esterno gira a pieno regime senza di lei. Siamo di fronte al più classico caso di burnout in cui il lavoratore attento e scrupoloso rimane schiantato ed emarginato senza più energie. Il senso di colpa, di fallimento e di frustrazione può essere vinto con la sola consapevolezza dell’usura professionale e delle strategie di adattamento atte a fronteggiarla. Quando mai faremo conoscere agli insegnanti la loro professione per quello che è e non attraverso stupidi stereotipi?

    Anche questa diviene una buona ragione per dare forza alla nostra petizione https://www.change.org/p/i-partiti-che-si-...enza-anticipata che punta a far riconoscere la professionalità degli insegnanti nella prossima legislatura. Ancora pochi giorni per firmare, condividere e lanciare un esplicito messaggio a chi si contenderà la gestione del Belpaese nelle prossime elezioni politiche.

    www.facebook.com/vittoriolodolo
     
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