Immissioni in ruolo, ma a che prezzo?

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    Immissioni in ruolo, ma a che prezzo?


    di Lucrezia Di Dio


    Un articolo pubblicato da “Gruppo di Firenze” pone l’accento sui problemi legati alla professione dell’insegnante, soprattutto alla luce delle recenti assunzioni nella scuola.

    Dopo anni di attese sono stati migliaia gli insegnanti immessi in ruolo, ma nonostante gli anni trascorsi ad aspettare una cattedra sono stati in molti a non volere a non voler partecipare alle fasi previste per le assunzioni rinunciando alla possibilità di avere finalmente una cattedra per timore di dover cambiare regione. Molti aspiranti insegnanti, infatti non se la sono sentita di cambiare regione, lasciare la propria vita e la propria famiglia in cambio di quello che viene definito uno “stipendio indecoroso”.

    Il “gruppo di Firenze” fa notare che , a differenza di quello che accadeva nel passato, quando decine di migliaia di insegnanti si spostavano dal sud al nord pur di lavorare, oggi le cose sono diverse poiché in media gli attuali immessi in ruolo superano i 40 anni e molti arrivano addirittura ai 50. Se in passato si affrontava con più leggerezza il trasferirsi in altre regioni allontanandosi dai propri affetti e della propria cultura, sicuramente lo si faceva ad un’età diversa: 40 anni è un’età difficile per cambiare vita anche se la domanda che il gruppo si pone nel suo articolo è cosa si aspettassero questi insegnanti dopo un attesa così lunga per la stabilizzazione. Al sud le classi sono sempre meno numerose mentre, di conto, aumentano i laureati che vogliono diventare insegnanti. Se il numero degli aspiranti insegnanti supera il fabbisogno è naturale che si debba prendere in considerazione l’idea di un trasferimento per trovare cattedre libere.

    Il “gruppo di Firenze”, però, fa anche notare che chi protesta non ha indicato, come alternativa, una ipotesi plausibile e che l’alternativa potrebbe essere, proprio, un aumento dello stipendio degli insegnanti forte al punto da giustificare il sacrificio e compensarlo almeno in parte. L’ipotesi avanzata dall’articolo propone una riduzione delle materie, soprattutto negli istituti tecnici e professionali che permetterebbe, con i risparmio che ne deriverebbe, di portare gli stipendi dei docenti italiani al livello dei colleghi europei.

    Ma sarebbe davvero una soluzione?
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